La Stampa 25.10.15
Massimo Cacciari sul Sinodo
“Il Papa capisce la modernità”
“Non vincono gli atei di sinistra, ma la strategia gesuita unita alla tradizione mistica”
intervista di Giacomo Galeazzi
«Tra forti resistenze, Francesco ricompone un’antica disputa». Il filosofo Massimo Cacciari attribuisce al fondatore dei gesuiti, Sant’Ignazio «questa vittoria al Sinodo».
Riammissione ai sacramenti caso per caso. Cosa significa?
«Un nobile compromesso della Compagnia di Gesù. Il Sinodo ha seguito le orme di Sant’Ignazio. Non è mettersi d’accordo fingendo di ignorare le differenze. È il riconoscimento della complessità civile ed etica del contesto mondano, con la necessità di accompagnarlo nelle valutazioni. Non è cedere a principi e comportamenti mondani. È riconoscere la realtà per cambiarla».
Una strategia «politica»?
«Sì. Francesco non si confonde con l’etica mondana, ma si colloca all’interno per influenzarla. È la linea dei gesuiti in Sud America, Cina, India: sempre avversata da reazionari e radicali come Giansenio e Pascal, per i quali il Vangelo è una spada: o sì o no. In Curia ci sono ostilità di cui si fa portavoce anche Giuliano Ferrara, contro la presa d’atto delle trasformazioni etiche e comportamentali. Accusano il Papa di cedimento, di resa al mondo moderno. Non è così».
Non condivide queste critiche?
«No. La Chiesa è più complessa della riforma del Senato o della minoranza Pd. Francesco applica la comprensione ignaziana della contemporaneità. Non è tatticismo politico come pensano i suoi nemici interni: viene dalla grande mistica umanistica. Sant’Ignazio aveva come riferimento Erasmo da Rotterdam e venerava San Francesco. Bergoglio non ha scelto il nome del santo di Assisi per arruffianarsi il moderno ecologismo. Sa sciogliere lentamente i nodi, ha una prospettiva di secoli. La Chiesa termina con la fine dei tempi. Lo scontro emerso al Sinodo è vero, reale, profondo. Non finirà col Sinodo, non si può prevedere come andrà a finire. La pazienza è virtù raccomandata dai Padri della Chiesa, insieme a un’obbedienza non passiva e servile, ma consapevole che la Chiesa ha tutto il tempo per formare i fedeli all’ascolto. Si giudica Francesco solo da questa prospettiva».
Cosa minaccia il pontificato?
«L’eterogenesi dei fini è un pericolo sempre presente nella storia della Chiesa. Bergoglio deve affrontare due tipi di ostilità alla sua azione. Un’opposizione reazionaria trova espressione in una fronda minoritaria destinata all’irrilevanza: sono pezzi di vecchio apparato che provano a boicottare Bergoglio per spirito di conservazione e che sono arroccati in trincee devastate. C’è poi una resistenza più intelligente che ho riscontrato in dialoghi con alcuni vescovi. Mi dicono che di fatto la comunione ai divorziati risposati la danno già e che è una prassi diffusa. Però temono di metterla nero su bianco come se sancire la riammissione ai sacramenti faccia venir meno la sacralità del matrimonio. Un salto che, per loro, depotenzia un principio se non viene collocato in un adeguato contesto teologico».
La dottrina è solo un pretesto?
«Negare l’Eucarestia ai divorziati risposati non ha un fondamento dogmatico. Si basa sulla tradizione. Chi non è d’accordo con le aperture di Francesco denota un eccesso di timore e di prudenza. Ma avere paura è un errore. Al Sinodo si è riproposto un secolare dissidio nella Chiesa. Francesco è coerentemente un gesuita, nella sua accezione più nobile. Alla fine è riuscito a trascinare con sé la maggioranza dei padri sinodali.
Ora il Papa è più forte, ma l’esito della partita rimane imprevedibile. Deve diffidare dell’appoggio laicista di quanti vogliono appropriarsi del Papa per ecologismo o altre battaglie che nulla hanno a che vedere con la profondità del suo messaggio di fede. Gli atei di sinistra rischiano di provocare al pontificato di Bergoglio gli stessi danni che gli atei devoti e i tecon hanno causato a quello di Ratzinger».