giovedì 22 ottobre 2015

La Stampa 22.10.15
Lo storico del nazismo Kellerhoff:
“Le prime fantasie di sterminio vennero al Führer già nel 1919”
“Antisemitismo ossessivo” Il “Mein Kampf” sarà ristampato a gennaio: “Ecco le sue bugie”
di Tonia Mastrobuoni


All’inizio degli anni Venti, Adolf Hitler era ospite fisso dei salotti di Monaco, dove i ricchi borghesi si divertivano ad ascoltare l’eccentrico austriaco abbaiare i suoi proclami antisemiti. Quando l’attenzione scemava, il tribuno di Braunau schioccava il suo frustino sugli stivali da cavallerizzo, per costringere famiglie come i Bechstein - quelli dei pianoforti - a non perdersi neanche una sillaba delle sue tirate contro gli ebrei «parassiti». I monacensi facoltosi adoravano quello strano politicante che indossava lisi completi blu e che da lì a poco avrebbe organizzato l’inquietante putsch nella capitale bavarese. E il suo odio viscerale, ossessivo per gli ebrei non li disturbava: «l’antisemitismo era molto diffuso, nella borghesia tedesca, ma anche in quella francese o austriaca, in quegli anni» ricorda Sven Felix Kellerhoff.
Un odio antico
Nel 1919, sottolinea lo storico e giornalista tedesco, Hitler aveva già espresso in una lettera ad un soldato, Adolf Gemlich, il suo odio malato contro gli ebrei, evocando pogrom, discriminazioni per legge, allontanamenti. «Le fantasie da sterminio - argomenta Kellerhoff - sono già evidenti in quella lettera, ma anche in “Mein Kampf”», il delirante manifesto scritto in carcere nel 1924 e venduto 12 milioni di copie prima della fine della Seconda guerra mondiale. Kellerhoff ritiene «totalmente prive di ogni fondamento storico» le argomentazioni del premier israeliano Netanyahu: Hitler «sognava già di sterminare gli ebrei quando il Muftì di Gerusalemme non era neanche lì». L’antisemitismo ossessivo e la teoria dello spazio vitale per i tedeschi sono i due cardini del libro del Fuehrer, argomenta l’esperto di storia del nazismo.
Kellerhoff ha appena dato alle stampe un documentatissimo libro sulla bibbia dei nazisti: «“Mein Kampf”. Die Karriere eines deutschen Buches» (Klett-Cotta), alla vigilia di un evento storico. A gennaio dell’anno prossimo sarà pubblicata in Germania la prima edizione commentata del manifesto di Hitler, dopo ben 70 anni. Il libro non è mai stato vietato, ricorda l’autore: ne è stata proibita la ristampa, dopo la guerra (i diritti appartengono al Land Baviera). «Un errore clamoroso - per Kellerhoff - perché ha alimentato miti e leggende false». In quasi 800 pagine il Fuehrer ha condensato un’opera «intellettualmente misera, piena di errori grammaticali, stilisticamente obbrobriosa, che pullula di insulti, falsi autobiografici - su cui sono inciampati persino biografi del calibro di Joachim Fest - e assurdità storiche». Kellerhoff ha le idee chiare sull’origine dell’antisemitismo di Hitler, ma smaschera il teorico del Terzo Reich anche su aspetti biografici assolutamente grotteschi.
Manie di grandezza
La frenesia agiografica dei nazisti ha distorto molti aspetti della vita di Hitler, cercando di confermare i deliri di «Mein Kampf». Kellerhoff ne elenca molti. Il primo è quello della giovinezza povera e disagiata a Vienna e Monaco. È vero che nella capitale asburgica Hitler visse momenti terribili, alla vigilia della Grande guerra, di fame e pernottamenti negli alberghi dei poveri. Anni in cui fu aiutato economicamente, peraltro, da alcuni amici ebrei. Ma la verità è che riusciva ogni mese a spendersi la pensione da orfano e i soldi della famiglia in un battibaleno. Un bamboccione, più che un bohèmien.
Nessun eroismo
Anche i racconti epici delle battaglie combattute nell’esercito tedesco durante la Grande guerra sono da ridimensionare. Il «battesimo di fuoco» di Hitler avvenne effettivamente nelle Fiandre. «Mein Kampf» non lascia spazio alla fantasia: pallottole che fischiano intorno alle orecchie del giovane Fuehrer, botti assordanti, un corpo a corpo micidiale e la battaglia che culmina in un coro che si leva dalle prime file, intona «Deutschland, Deutschland ueber alles», contagiando tutto il battaglione. Fantasie, secondo la ricostruzione storica: di fronte all’avanzata micidiale dei francesi, molti commilitoni si buttarono a terra fingendosi morti, il comandante gridò tre volte invano «all’attacco». E Hitler? A giudicare dalle cronache, al suo solito posto: nelle retrovie. E fu la costanza - non l’eroismo - mostrata in quelle retrovie che gli valse poi la Croce di ferro. Medaglia di cui il Fuehrer parlò sempre con timidezza. Strano, si dirà. Ma il motivo è ovvio. Il luogotenente che aveva insistito per conferire una medaglia al merito al giovane Hitler, Hugo Gutmann, era ebreo.

Il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert, è stato deciso: "Non c'è nessun motivo per cambiare la storia". E ha continuato: "Conosciamo bene l'origine dei fatti ed è giusto che la responsabilità sia sulle spalle dei tedeschi".