venerdì 2 ottobre 2015

La Stampa 2.10.15
Dal flop di Civati all’oblio di Tosi
La maledizione dei fuoriusciti
I politologi: fare opposizione interna è più conveniente
di Marco Bresolin


«Mi si nota di più se me ne vado sbattendo la porta o se rimango dentro a fare casino?». La seconda che hai detto. Nel quadro politico attuale pare non esserci futuro per i fuoriusciti. Finché restano dissidenti hanno titoli di giornale assicurati, dunque peso politico, e di conseguenza appeal tra gli elettori. Ma quando il dissidente si trasforma in fuoriuscito, il sipario cala.
Fassina chi?
Ne sa qualcosa Pippo Civati, che dopo un lungo tira e molla a maggio ha preso coraggio e ha lasciato il Pd. Ha fondato il movimento Possibile e come primo passo ha lanciato la sua campagna referendaria, che però non ha raccolto le 500 mila firme necessarie. Flop. Percorso simile a quello di Stefano Fassina. Che ai tempi di «Fassina chi?» era tutti i giorni al tg, ma che ora - dopo l’uscita dal Pd - è sparito. E dunque: «Fassina chi?». Anche per questo Matteo Renzi, nonostante le sirene, dopo la sconfitta alle primarie del 2012 decise di non mollare il Pd. Ha atteso, ha lottato dall’interno, e se n’è impossessato.
«Il nostro sistema partitico è strutturato per non lasciare spazio agli scissionisti – spiega il politologo Marco Tarchi, docente all’Università di Firenze -. Se arriva una forza nuova che sa cavalcare un’onda, come lo è stato il M5S, gli spazi ci sono. Ma per chi esce da un partito, e ne richiama le beghe interne, è difficile conquistare terreno. Meglio l’opposizione interna». Come ha detto Renzi dopo il voto in Grecia, chi di scissione ferisce, di elezioni perisce.
Fini non giustifica i mezzi
Destra o sinistra in questo non fanno differenza. Basta guardare a politici come Flavio Tosi e Raffaele Fitto: fuori da Lega e Forza Italia è difficile stare a galla. La parabola di Gianfranco Fini (e del suo Fli: 0,47% alle Politiche 2013) insegna. «E vedrete, sarà così anche per Ncd - prosegue Tarchi -. Perché oggi non siamo in un momento di ricomposizione della scena politica, come lo è stato per esempio il 1993-1994». Ma per Nicola Pasini, docente di Scienza Politica alla Statale di Milano, gli spazi ci sarebbero: «Il vero problema è la mancanza di risorse: senza di quelle, dove vanno Tosi e Fitto? Per il resto la frammentazione è nel dna della nostra politica e della nostra società. I piccoli potenzialmente hanno un ruolo strategico: pensiamo al peso che avevano il partito repubblicano, o i liberali, nei governi della Prima Repubblica».
Verso i listoni unici
La differenza con il passato, però, c’è. E si chiama Italicum. La nuova legge elettorale sembra fatta apposta (anzi lo è) per tagliare le gambe a chi punta a corse solitarie. Non tanto per lo sbarramento del 3%. Secondo il politologo Roberto D’Alimonte (che ha lasciato la sua impronta su quella legge) ci sono altri due grandi motivi. «Eliminando le coalizioni si toglie ai piccoli il potere di contrattazione. E poi, a differenza di quanto avviene per i sindaci, tra il primo e il secondo turno sono vietati gli apparentamenti. A chi conviene andare da solo?».