lunedì 19 ottobre 2015

La Stampa 19.10.15
Ma la sinistra ha sempre fatto la destra
di Marcello Sorgi


La polemica della sinistra Pd e della Cgil contro le cosiddette caratteristiche di «destra» della legge di stabilità, presentata da Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, non accenna a scemare.
E anche se il ministro dell’Economia, in passato stretto consigliere di Massimo D’Alema, si sta dando molto da fare, per spiegare il senso delle misure, andando anche un po’ al di là dei tweet del presidente del Consiglio, la sensazione è che l’ala bersaniana si prepari a contestare in Parlamento la manovra con un’intensità simile, se non superiore, a quella appena usata per la riforma del Senato.
Ma a parte le difficoltà, specie di questi tempi, di definire chiaramente gli orientamenti delle politiche economiche (ci sono economisti di sinistra che non hanno nulla da invidiare ai «Chicago boys», e viceversa), l’aspetto sorprendente di queste critiche è che vengono da una parte del partito che ha sempre volontariamente accettato, sottoscritto, e talvolta sollecitato, provvedimenti impopolari quanto indispensabili, che hanno fatto sopportare sacrifici duri, e tuttavia inevitabili, ai lavoratori a reddito più basso, ai pensionati e agli strati meno protetti della società.
Un atteggiamento assai responsabile - sebbene alternato a bruschi ripensamenti -, attraverso il quale la sinistra politica non estremista negli ultimi quarant’anni si è pienamente legittimata ai compiti di governo.
Fu Enrico Berlinguer, l’ultimo grande segretario del Pci, e non certo un leader di destra, a lanciare la parola d’ordine dell’«austerità», in un convegno al Teatro Eliseo di Roma del 1977. Senza quella svolta, Andreotti, alla guida, dal ’76 al ’79, dei governi di unità nazionale, con l’appoggio degli stessi comunisti, non avrebbe potuto bloccare la scala mobile e sostituirla, nelle buste paga, con buoni del Tesoro di cui si sviluppò, subito, negli uffici pubblici e privati, un fiorente mercato nero.
E se certo non poteva essere considerato di sinistra il taglio della scala mobile, allo stesso modo non lo erano le grandi privatizzazioni (in qualche caso tra l’altro fatte a prezzi forse eccessivamente convenienti), avviate da Amato e Ciampi, e poi proseguite da Prodi e D’Alema nella prima metà degli Anni Novanta. Con le banche pubbliche, poi con Telecom, con Eni ed Enel, fino a oggi alle Poste, la sinistra riformista rinunciava - meritoriamente verrebbe da aggiungere, e a costo di divisioni interne con la sua ala radicale - allo statalismo, un altro dei caposaldi della sua impostazione economica. D’Alema provò a spingersi più in avanti, quando toccò a lui guidare il governo, progettando una sorta di ristrutturazione di Cgil, Cisl e Uil in un sindacato unico che, proprio perché imposto dal governo e dall’alto, non si realizzò.
Successivamente, anche in epoca di centrodestra, la sinistra ha continuato a dare un notevole contributo a manovre economiche fondate sul rigore e mirate al risanamento dei conti pubblici, seppur ad alto costo sociale. Accadde, ad esempio, nel ’96, quando il governo Dini, nato dal ribaltone parlamentare voluto da D’Alema per disarcionare Berlusconi, mise a segno la riforma delle pensioni che, introducendo il sistema contributivo al posto di quello retributivo, veniva per la prima volta a colpire la categoria considerata più debole degli ex-lavoratori ritiratisi per anzianità. Va detto che la riforma fu varata con l’accordo dei sindacati, che avevano e hanno tra i pensionati la maggior parte dei loro iscritti, e fu l’ultima volta che la Cgil consentì, sia pure a denti stretti, a far passare un intervento del genere. Poco dopo, tornato Prodi al governo, fu proprio Bersani a lanciare la sua famosa «lenzuolata» di liberalizzazioni, che provocò, che com’era già accaduto in Francia, uno sciopero generale dei taxisti,
un tempo in buona parte di sinistra, e da quel giorno schierati a destra.
La lista degli interventi di destra fatti dalla sinistra, come si vede, è piuttosto lunga e abbraccia periodi diversi. Naturalmente, per ciascuna di queste scelte, va tenuto presente il contesto in cui venivano prese - ad esempio la vigilia dell’ingresso nel sistema dell’euro, o la necessità di rompere il monopolio pubblico dei servizi, per abbassarne il costo a favore degli utenti - e lo sforzo di una sinistra elettoralmente minoritaria, anche quando vinceva le elezioni, di legittimarsi di fronte a quella parte di elettorato che non l’aveva votata e restava sensibile al richiamo della propaganda anticomunista berlusconiana. Né più né meno quel che in questi giorni cerca di fare Renzi, che tra l’altro è andato al governo senza avere alle spalle un passaggio elettorale e deve prepararsi al prossimo.
Più in generale, quando è stata al governo negli ultimi vent’anni, la sinistra ha saputo fare i conti con una verità, difficile da accettare, che oggi la minoranza Pd sembra aver dimenticato: governare, infatti, è soprattutto fare ciò che si deve; non ciò che si vuole.