venerdì 16 ottobre 2015

La Stampa  16.10.15
Sigonella, così Reagan capitolò davanti all’ira funesta di Craxi
Un libro ricostruisce la più drammatica crisi diplomatica tra Italia e Usa
di Marcello Sorgi


Trent’anni fa proprio di questi giorni, tra il 7 e il 24 ottobre 1985 - con il sequestro dell’Achille Lauro nel Mediterraneo, lo scontro sfiorato tra militari italiani e americani nella base Nato di Sigonella, in Sicilia, e la crisi interna e internazionale che ne seguì -, l’Italia si trovò al centro di uno dei più complicati casi politico-diplomatici della sua storia. Una pagina controversa degli ultimi anni della guerra fredda: e questo è assai più chiaro, adesso, grazie alla pubblicazione del libro
La notte di Sigonella
(pp.276, €18, Mondadori, a cura della Fondazione Craxi e voluto dalla figlia del leader scomparso, Stefania) e al convegno che la Fondazione Socialismo, per iniziativa di Gennaro Acquaviva, dedica oggi a quei fatti.
La nave da crociera Achille Lauro, con 545 persone a bordo, fu sequestrata lunedì 7 ottobre ’85 da un commando di terroristi palestinesi alquanto disorganizzati: quattro balordi, anche se Arafat non li definiva così, sfuggiti al controllo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, e decisi a ottenere da Israele il rilascio di cinquanta prigionieri nelle carceri dei territori occupati. In caso contrario minacciavano di far saltare la nave.
Il governo italiano valutò la possibilità di un blitz militare sulla nave (ipotesi preferita dal presidente della Repubblica Cossiga). Ma Craxi prudentemente la scartò, preferendo ricorrere alle vie diplomatiche e chiedendo aiuto ad Arafat. Il quale, detto fatto, con l’appoggio del Raiss egiziano Mubarak, inviò in missione un suo fedelissimo, Abu Abbas, che aveva occasionalmente in passato capeggiato la cellula terrorista a cui appartenevano i sequestratori della nave, e riuscì a convincerli ad arrendersi, ma non prima di uccidere e gettare in mano un cittadino ebreo americano paralitico, Leon Klinghoffer.
L’Italia si ritrovò nei guai soprattutto per questo assassinio. Agli amici arabi, che si erano messi a disposizione, non poteva rimproverare nulla o quasi. Ma non poteva accontentare quelli americani, che chiedevano di aver consegnati i terroristi e il mediatore che aveva ottenuto la liberazione. Inoltre gli Usa, non fidandosi, avevano fatto seguire dai loro caccia l’aereo egiziano che trasportava il commando terrorista con Abu Abbas, costringendolo appunto ad atterrare a Sigonella, e sarebbero stati pronti a circondarlo con i loro marines, se i carabinieri italiani non gliel’avessero impedito, su ordine di Craxi. Che s’incaricò, ancora, di assicurare una via di fuga ad Abbas, mentre fece arrestare i quattro terroristi, mollati da Arafat. L’ambasciatore dell’Olp a Roma Hussein Al Aflak lo disse esplicitamente: «Se volete, dateli pure agli americani».
La crisi di governo che ne seguì fu risolta in un mese e conobbe l’apice con un discorso alla Camera in cui Craxi rivendicò il diritto dell’Italia a decidere sul proprio territorio, condannando la prepotenza Usa tra gli applausi dei comunisti. Più complicato fu affrontare il gelo con Washington determinato dallo strappo di Sigonella. Ed è su quest’aspetto che il libro, grazie a una serie di documenti segreti ora declassificati dalle autorità americane, apre uno squarcio di verità.
La gran parte dei documenti riguarda gli incontri avuti dall’ambasciatore americano Rabb a Roma. All’inizio, gli Usa sono decisi a far pesare il proprio «sbalordimento», lo «sconcerto», lo «stupore» per l’accaduto. Sostengono che in una telefonata notturna con Reagan il 10 ottobre il presidente del consiglio s’era impegnato a consegnare anche Abu Abbas, e questo era stato ribadito, con la sottile precisazione del sottosegretario Amato che sarebbe stato «trattenuto» e non «arrestato», anche in un successivo incontro con Rabb il giorno dopo. Se ne ricava che le relazioni tra i due Paesi (e s’intuisce, sullo sfondo, anche con Israele, data l’origine ebraica della vittima) avevano subito un vulnus irreparabile, che richiedeva scuse che Craxi non si sognava di dare.
Rabb torna alla carica con il leader socialista, che non lo riceve più. Prende allora una serie di appuntamenti per far capire che Washington non ha intenzione di farla passare liscia all’Italia. Tra tutti, il più inverosimile è l’incontro con Andreotti, che capovolge il discorso: è l’Italia che dovrebbe dolersi per la violazione del proprio spazio aereo da parte dell’aviazione Usa, e non conviene a nessuno tirare troppo la corda. Rimprovera Rabb per essersi rivolto direttamente a Craxi; spiega di essere più anziano e con «nervi più distesi» rispetto a quelli del presidente del consiglio. Questo del «nervosismo» di Craxi a un certo punto diventa l’argomento decisivo: il segretario generale della Farnesina spiega che il leader socialista è un tipo «orgoglioso e piuttosto testa calda». Il capo della segreteria Acquaviva ribadisce che, sentendosi «offeso», Craxi non mollerà fino a che Reagan non lo inviterà a un incontro a due. Amato prova a dire che la notte tra il 10 e l’11, quando Klinghoffer fu ucciso, Craxi ancora non lo sapeva, né si poté avvertirlo la mattina dell’11 perché «dormiva» e non voleva essere disturbato. Nei suoi rapporti a Reagan, Rabb confessa di sentirsi preso in giro da gente che «non dice la verità». Eppure, incredibilmente, a un certo punto si arrende e suggerisce all’amministrazione del suo Paese un gesto di distensione e attenzione verso Craxi. Nasce così la lettera di Reagan che cominciava «Dear Bettino», piena di riconoscimenti per l’alleato italiano e per l’equivoco su Sigonella che non deve pregiudicare i rapporti di amicizia tra i due Paesi. Il 24 ottobre Craxi è accolto trionfalmente a Washington. Americani e italiani sono increduli: nessuno avrebbe mai creduto che il proverbiale cattivo carattere del presidente socialista sarebbe riuscito a piegare la durezza della reazione americana.