La Stampa 13.10.15
La teoria del complotto trova consensi nell’anti-politica
di Marcello Sorgi
Formalizzate alla fine di un ennesimo week end di tensioni, che al Pd aveva fatto temere un nuovo braccio di ferro, le dimissioni di Marino chiudono la sua vicenda di sindaco ed aprono quella di candidato a succedere a se stesso. Nella gran confusione che ha accompagnato la rottura finale tra il primo cittadino travolto dallo scandalo degli scontrini e il suo (ex) partito, questo è uno dei pochi punti fermi: pur consapevole che la sua rielezione è molto improbabile, Marino farà di tutto per rendere difficile il tentativo del centrosinistra di tornare alla guida della Capitale. Molto dipenderà ovviamente anche dall’inchiesta che la Procura di Roma ha aperto nei suoi confronti e dall’eventualità che l’ex-sindaco possa essere chiamato a rispondere di peculato per le cene private presentate come spese di rappresentanza. Ma la narrazione che Marino si accinge a cominciare è quella di un complotto ai suoi danni, orchestrato dal Pd in difesa dei legami mafiosi che invano lui aveva cercato di abbattere. Una candidatura, dunque, destinata a pescare, non solo nell’elettorato di sinistra deluso, com’era accaduto, peraltro con successo, in Liguria dopo la rottura tra renziani e Cofferati; ma anche nel variegato strato di opinione pubblica anti-politica e perfino in concorrenza con i 5 stelle, che restano i competitor più temibili della prossima tornata elettorale romana.
L’altro elemento chiaro all’inizio della lunga campagna elettorale che arriverà a primavera è che non serve interrogarsi sul tipo di commissario che dovrà reggere nel frattempo la disastrata amministrazione della Capitale. Le difficoltà della scelta - prefetto, magistrato o altro genere di pubblico ufficiale - e le trattative interne alla coalizione di governo anche sul numero dei vice commissari, sono il sintomo di un’inquietudine legata a ciò che tutti hanno capito: di qui alle elezioni il vero sindaco facente funzioni di Roma sarà Renzi, che non vede l’ora di tornare a fare part-time, aggiungendolo alle responsabilità che già ricopre, anche il suo vecchio mestiere. Questo spiega perché, pur avendovi rinunciato pubblicamente domenica sera con la sua intervista a Fabio Fazio su Rai3, Renzi abbia accarezzato realmente per qualche giorno, dopo la caduta di Marino, l’idea di designare il candidato alla successione del Pd senza primarie, viste le esperienze delle ultime volte a livello locale, le divisioni interne al partito e le vittorie a sorpresa di candidati buoni a sollevare le emozioni del popolo delle primarie, ma assai meno bravi a far fronte ai loro compiti, una volta eletti.