martedì 13 ottobre 2015

Corriere 13.10.15
Al di là di Roma il vero problema sono le elezioni di medio termine
Nonostante la vittoria a Palazzo Madama, il presidente del Consiglio rischia con la classe dirigente del Pd a livello locale
di Massimo Franco


L’ombra delle prossime Amministrative di giugno 2016 si sta allungando sul governo come una scadenza a rischio. L’epilogo traumatico del caso del sindaco di Roma, Ignazio Marino, era in qualche modo prevedibile. Ma il problema non è solo il Campidoglio. In quel caso, si tratterebbe di un problema importante quanto circoscritto.
Il tema è più generale, perché riguarda il rapporto tra il governo centrale guidato dall’ex sindaco di Firenze, Matteo Renzi, e gli enti locali; e la capacità di proiettare la nuova strategia del Pd in città e regioni.
Il risultato deludente nei ballottaggi all’inizio dell’estate è stato un primo avvertimento del partito a Palazzo Chigi. Di colpo, l’aura del predestinato alla vittoria si è un po’ appannata, per Renzi. Una parte delle tensioni con una minoranza rianimata si spiega anche sullo sfondo di quel voto in chiaroscuro. Adesso che il governo riemerge vincente sulla riforma del Senato, ottenendo un successo politico indubbio, ecco emergere la «questione romana» alla vigilia del Giubileo. Soprattutto, ecco rispuntare le mid-term elections , elezioni di metà legislatura, di primavera come l’ennesimo ostacolo da superare.
E non solo perché il Pd si è lacerato su Marino ed è costretto a fare i conti con la voglia di vendetta del sindaco dimissionario. Insieme con questi veleni riaffiora il dilemma delle primarie, che in Comuni e Regioni ultimamente ha coinciso a volte con la scelta di candidati non di partito: quasi il Pd fosse incapace di trovare figure unitarie e dunque si condannasse ad optare per soluzioni esterne. Riemergono l’assenza di una vera classe dirigente, e il contrasto tra la vecchia nomenklatura e i «colonnelli» vicini al presidente del Consiglio.
La polemica larvata che in Puglia si indovina nelle parole di Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, su un congresso indetto non per trovare un nuovo segretario ma per normalizzare un Pd ritenuto poco renziano, è emblematica. È come se le tensioni represse e poi risolte in Parlamento, tendessero a spostarsi e riprodursi in prospettiva su quel voto: con il solito obiettivo di indebolire il governo. E senza che da Palazzo Chigi sia stata trovata finora una strategia tale da scongiurare divisioni, se non lacerazioni.
Si intravede il pericolo di perdere una città-simbolo come Milano per la rinuncia di Giuliano Pisapia a ricandidarsi; e di ritrovarsi a Roma con un Comune commissariato e il Movimento 5 Stelle all’attacco. Insomma, la primavera che dovrebbe sancire l’incoronazione del riformismo di Renzi con un referendum, è a doppio taglio. Impone sfide in grado, se sottovalutate, di destabilizzare l’esecutivo. E il nulla di fatto sulle unioni civili certifica un fronte aperto non tanto con il Ncd di Angelino Alfano, ma col Vaticano.