Il Sole Domenica 4.10.15
Le parole della fede
La «Tenerezza» è risorta
Su impulso di papa Francesco, la parola biblica torna alla ribalta e diventa oggetto di nuovi studi teologici
di Gianfranco Ravasi s.j.
Nella sua Lettera a un giovane cattolico lo scrittore tedesco Heinrich Böll, Nobel 1972, ammoniva: «Quello che fino ad oggi è mancato ai messaggeri del cristianesimo di ogni provenienza è la tenerezza». Si deve riconoscere che col magistero di papa Francesco questa dimensione antropologica fondamentale è ritornata nell’agenda della pastorale ecclesiale, sia sotto il sinonimo di “misericordia”, sia a titolo esplicito come accade, ad esempio, in quella sorta di manifesto che è l’Evangelii gaudium ove il termine “tenerezza” risuona una decina di volte. Secondo alcuni glottologi il vocabolo apparterrebbe alla stessa famiglia dell’aggettivo “tenue” (e derivati), generato dal sanscrito tanuh, che rimanda a qualcosa di “disteso”, “allungato” (donde il greco teino, “stendere”). Siamo, quindi, in presenza di qualcosa di delicato, pacato e placato.
Un sentimento che nelle lingue bibliche, l’ebraico e il greco, è espresso attraverso una vera e propria costellazione di vocaboli dalla semantica policroma ma sempre riconducibile al canone dell’amore appassionato (in ebraico hesed, rahamîm, hnn, rkk e così via; in greco splánchnon, oiktirmós, éleos, agapán, phileín...). Ebbene, nella scia di papa Francesco, ma anche proseguendo nella linea di una ricerca già inaugurata con un saggio sulla Teologia della tenerezza pubblicato nel 2000, accompagnato da un successivo sciame di altri scritti tematicamente affini, il teologo Carlo Rocchetta ha voluto puntare ora solo sulle S. Scritture. In questo viaggio testuale ha scelto che gli fosse accanto anche una donna esegeta, Rosalba Manes, docente all’Università Gregoriana di Roma, capace di offrire uno sguardo più vivo e luminoso su un’esperienza umana che ha un imprinting femminile molto originale.
Non per nulla persino nell’Antico Testamento, culturalmente patriarcale-maschilista, la tenerezza divina è affidata a simboli materni, come accade ad esempio col termine citato rahamîm che rimanda al grembo (il titolo del libro di Rocchetta e Manes recita appunto La tenerezza grembo di Dio amore). Celebre è il soliloquio paradossale divino evocato da Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non provare tenerezza (rehem) per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro ti dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai!» (49,15). L’indagine condotta nelle pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento ovviamente non si ferma al deposito lessicale o al florilegio di passi espliciti ma procede attraverso una recensione sistematica e approfondita di tutto l’orizzonte tematico e simbolico ove brilla questo sentimento così “umano”, assunto come metafora teologica.
Sorprende, perciò, scoprire – anche in un terreno apparentemente così “virile”, vigoroso e talora persino violento com’è quello riflesso nell’Antico Testamento – quanto fiorisca questa delicatezza di emozioni e di relazioni, trasposta dall’esperienza degli innamorati a quella di Dio stesso. D’altronde, l’amore è l’analogia fondamentale per parlare di Dio tant’è vero che s. Giovanni nella sua Prima Lettera conia quella indimenticabile definizione: «Dio è amore» (4,8.16). nello stesso nostro linguaggio comune quando vediamo sbocciare tra due fidanzati l’amore, diciamo che “c’è del tenero tra loro”. In questa luce il discorso su Dio, la “teo-logia”, deve sempre intrecciare Lógos e pathos, cioè ragione e passione, téchne e agápe, ossia la sistematica e la mistica, il dogma e l’esperienza.
Soprattutto in Cristo, ma già nella teofania anticotestamentaria, la divinità che entra in scena nella storia e che attraversa l’intero arco dell’esperienza umana si rivela come un Dio “patetico”, ben lontano dal Motore immobile aristotelico o dal Fato incomprensibile e inaccessibile, e anche da Enlil, il dio sumerico cantato come «un arruffio di fili di cui non si coglie il bandolo». Verità e amore devono, però, stare insieme, in un intreccio costante per evitare la caduta nel devozionalismo sentimentale, nel “tenerume”. Questo derivato dall’aggettivo “tenero” di per sé in italiano indica la cartilagine delle carni macellate, ma proprio per la fragilità che evoca trapassa a designare una malattia della tenerezza che è la sdolcinatura, la smanceria, la leziosaggine.
La fede appassionata non perde mai il suo ancoraggio alla dottrina ed è ciò che il saggio di Rocchetta e Manes vuole dimostrare. L’unico cedimento è forse nella raffigurazione di copertina che rimanda a certe immaginette devozionali “pateticamente” oleografiche e retoriche. Proprio per questo accostiamo, come antidoto, un altro libro di taglio iconografico che s’intitola appunto La tenerezza di Dio e che è stato approntato da Giovanna Parravicini, una ricercatrice italiana che vive a Mosca. Basterebbe soltanto confrontare una delle tante icone russe denominate «Madre di Dio della Tenerezza», offerte nel primo capitolo, con lo stile della copertina citata per avere l’immediata evidenza dell’autenticità rispetto allo stereotipo. Il piccolo Gesù tende il suo visino alla guancia di Maria il cui capo è curvo su di lui mentre le sue mani ne stringono il corpicino. Il tutto, però, in un clima di sobrietà e persino di ieratica solennità.
Questa icona è detta in greco Eléousa (dal citato sostantivo éleos, derivante dal verbo eleéin, due vocaboli presenti una sessantina di volte nel Nuovo Testamento), oppure Glykophílousa, cioè “amante della dolcezza”, o Umilénie nello slavo ecclesiastico, ed è l’incarnazione dell’arte della carezza che manifesta «i due pilastri dell’amore di Dio, la vicinanza e la tenerezza», come diceva papa Francesco. La raccolta di icone che l’autrice allinea in questa sorta di galleria mistico-artistica copre l’intero arco della vicenda di Cristo, dalle profezie messianiche alla famiglia di Gesù, dal suo Natale fino alla sua fine tragica nella crocifissione ma gloriosa nella risurrezione, per approdare alla tappa terminale del giudizio universale. E tutto è letto secondo il prisma interpretativo della tenerezza, spesso esaltata dallo spettro cromatico intenso e fin energico. È una tenerezza che ha sempre una matrice spirituale, come testimonia uno dei santi russi più popolari, Sergio di Radonez (XVI sec.): «Quando sono triste, la Madre di Dio piange con me. Quando il mio animo è lieto, la Madre di Dio sorride con me. Quando mi sento peccatore, la Madre di Dio intercede per me».
Carlo Rocchetta – Rosalba Manes, La tenerezza grembo di Dio amore , Dehoniane, Bologna, pagg. 223, € 22,00.
Giovanna Parravicini, La tenerezza di Dio , Paoline – San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), pagg. 187, € 28,00.
Si veda anche Walter Kasper, Papa Francesco. La rivoluzione della tenerezza e dell’amore , Queriniana, Brescia, pagg. 134, € 13,00.