Il Sole Domenica 11.10.15
La grande Storia della gente comune
di Svetlana Alexievich
Da qualche decina d’anni io cerco di dare voce al mondo russo, al caos, in quanto sappiamo che la vita è caos. Ho scritto più libri ma è come se scrivessi sempre lo stesso libro: il libro del piccolo uomo della grande utopia. Un mondo russo che era da un lato romantico e dall’altro spaventoso, pieno di sangue, e il piccolo uomo si è trovato nel punto focale di questa lotta tra il bene e il male.
Mi è sempre interessato il tema della storia, sono cresciuta in una famiglia di insegnanti, il bisnonno, il nonno e mio padre insegnavano storia nelle scuole rurali, quindi in casa mi capitava spesso di udire questa parola, storia, ma chissà perché la storia che trovavo nei libri mi interessava meno, mi ipnotizzava meno delle storie che sentivo dalle persone e poiché tutta la mia vita è trascorsa in campagna la vita delle gente era aperta ai miei occhi, non c’era niente di nascosto in essa, e anche se la ricchezza della nostra casa era costituita unicamente dai libri mi è sempre rimasta l’impressione di aver appreso la storia del nostro Paese non dai libri ma dai racconti della gente.
Ad esempio in che modo ho saputo della Seconda guerra mondiale? C’è una festa della commemorazione dei defunti, che da noi ricorre in primavera. Tutti si recano sulle tombe dei loro defunti, bevono e mangiano, e tutti si riuniscono in gruppi in questa occasione, però io un giorno mi accorsi che una donna stava in disparte, facevo la settima o l’ottava, ero alle medie, e chiesi perché quella donna se ne stava così da sola e mi hanno detto: sei ancora piccola, sono cose che non devi sapere. Soltanto che, come ho detto, in campagna non ci possono essere segreti e così ho saputo che durante la guerra quella donna aveva tre bambini piccoli. Quando i tedeschi, in un’azione di rappresaglia, circondarono la cittadina, la gente scappò nelle paludi. Scappavano per pochi giorni, aspettavano che finisse la rappresaglia per poi tornare e portavano con sé poco cibo, però stavolta dovettero stare nascosti nelle paludi molto a lungo e la più piccola delle bambine continuava a piangere e i vicini cominciarono a dire che avrebbe finito per rivelare il nascondiglio ai tedeschi facendoli ammazzare tutti. E di notte qualcuno sentì la bambina che diceva alla mamma: Mamma, non mi ammazzare, non piangerò più perché ho fame, perché aveva capito l’intenzione della madre di annegarla e pensava che fosse perché si lamentava continuamente per la fame. La mattina dopo questa donna aveva soltanto due figli, aveva ammazzato la bambina per non mettere in pericolo gli altri; ma quando tornarono al paese tutti smisero di rivolgerle la parola e anche il marito quando tornò dalla guerra finì per lasciarla.
Su ogni libro lavoro 4 o 5 anni, registro le conversazioni di 300-400 persone e qualche volta è stupefacente che cosa sia in grado di dire della vita una qualsiasi donna anziana.
Da «Lo straniero» n.26/27, agosto-settembre 2012