giovedì 29 ottobre 2015

Il Sole 29.10.15
Un convitato di pietra all’affollato tavolo di Vienna
di Alberto Negri


La svolta sulla Siria è la partecipazione dell’Iran al tavolo di Vienna convocato con l’ambizioso obiettivo di concordare una soluzione politica. Sappiamo in anticipo che non potrà rispondere alla domanda più bruciante: chi rappresenterà in modo credibile la controparte al regime di Assad? L’opposizione moderata? A parte i curdi, strenui avversari dei jihadisti, è una sorta di araba fenice, cui si sono aggrappati anche a Parigi i governi europei. Oppure saranno i qaedisti di Jabat al-Nusra, quelli del Califfato riciclati, l’Esercito islamico della conquista appoggiato dai sauditi? I Fratelli Musulmani siriani, in ritirata da tempo?
In attesa di questa non trascurabile risposta esaminiamo posizioni e alleanze dei principali giocatori nel risiko siriano. Come già venerdì scorso, oggi ci sarà un incontro quadrilaterale fra Russia, Stati Uniti, Turchia e Arabia Saudita, poi domani si uniranno l’Iran, l’Egitto, l’Iraq, il Libano e gli europei.
Gli Stati Uniti hanno aperto, sia pure di malavoglia, all’eventualità di un periodo di transizione con Bashar Assad come unica alternativa al caos. Una svolta accompagnata da una visione regionale della crisi e che va incontro alle richieste dell’Iran, il Paese più determinato a tenere in sella il presidente. L’obiettivo americano sembra soprattutto impedire in Medio Oriente l’ascesa di una potenza egemone: l’Iran, sfibrato dalle guerre e dalla crisi economica, attende solo la fine delle sanzioni; la Turchia di Erdogan, ossessionata da uno stato curdo ai confini, è ritenuta dagli Usa sempre meno affidabile; l’Arabia Saudita, infilata nel suo Vietnam yemenita, oscilla tra la paura dell’Iran e le lotte dinastiche; Israele non può certamente proporsi come leader del mondo arabo ma al massimo ripristinare alleanze come quella con la Turchia.
Riconosciuto il fallimento dell’addestramento di combattenti siriani, la nuova tattica Usa prevede, oltre ai raid aerei, azioni sul terreno con missioni speciali in prima linea, cosa che ha già fatto inferocire Mosca. Gli Usa contano sull’appoggio della Coalizione Nazionale siriana e il sostegno militare a gruppi ribelli definiti “non estremisti”. In pratica gli Stati Uniti intendono rafforzare gruppi sunniti “moderati” e curdi siriani.
L’America però non ha un solo problema ma due. L’Iraq, invaso dagli Usa nel 2003, è oggi occupato per oltre un terzo dal Califfato che controlla Mosul e Ramadi. Anche qui come in Siria la collaborazione con l’Iran, che ha sostenuto le forze sciite irachene anti-Isis, è decisiva.
La Russia, insieme a Teheran, è dall’inizio del conflitto il principale sponsor di Assad e la volontà di difendere il suo ultimo avamposto militare in Medio Oriente è un fattore decisivo. Nel mirino dei raid russi ci sono lo Stato Islamico e altri gruppi radicali: gli Usa e vari Paesi europei accusano Mosca di colpire soprattutto l’opposizione moderata. Ma nonostante la cordialità di facciata della recente visita di Assad a Mosca, Putin potrebbe mollare il presidente: lo ha sostenuto anche il direttore della Cia John Brennan. La contropartita però deve essere importante: chiusura del dossier ucraino, fine delle sanzioni e garanzie sulla base navale di Tartous. Chi segue i colloqui russo-siriani valuta che per il dopo-Assad sarà difficile pensare a un esponente della minoranza alauita e Mosca potrebbe accettare un successore sunnita scelto dall’entourage dei fedelissimi.
La realtà è che in Siria una soluzione possibile è “alla libanese”, con un presidente, un premier e un capo del Parlamento selezionati secondo una distribuzione delle cariche tra maggioranze e minoranze. Come non sono da escludere alternative federali per le zone curde o alauite. Ci vorrà molta fantasia per rimettere in piedi un Paesi in frantumi. Libano ed Egitto potrebbero essere favorevoli a questa via di uscita.
A Vienna sono presenti potenze come Arabia Saudita e Turchia che si oppongono con tutte le forze a una transizione con Assad. Erdogan si gioca sulla Siria e sulla questione curda una parte della sua sopravvivenza politica se non otterrà la maggioranza assoluta alle elezioni di domenica.
Al tavolo di Vienna siederanno il capo della diplomazia Ue, Federica Mogherini e i ministri degli Esteri di Francia Germania e Italia, Paolo Gentiloni. A Parigi gli europei si sono messi d’accordo per una transizione che attraverso un “calendario preciso” garantisca la partenza di Assad. Ma l’aspetto più interessante è emerso nei colloqui riservati: l’irritazione americana nei confronti dei bombardamenti della Turchia contro i curdi siriani. La questione siriana è così complicata che a Vienna forse molti entreranno da amici e usciranno senza salutarsi.