Il Sole 29.10.15
Mogherini, l’Alto Rappresentante per la politica estera
«Sui migranti si gioca l’integrazione Ue»
intervista di Beda Romano
Strasburgo. C’era un tempo in cui l’Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza si occupava esclusivamente di diplomazia internazionale. Così non è per Federica Mogherini (nella foto). Nel primo anno di Commissione Juncker, l’ex ministro degli Esteri italiano ha spaziato dalla guerra civile in Ucraina ai rapporti commerciali con gli Stati Uniti, dalla crisi iraniana all’emergenza immigrazione. Non solo il presidente Jean-Claude Juncker ha affidato ai suoi collaboratori ampi portafogli tematici, ma gli stessi avvenimenti di questi ultimi 12 mesi hanno costretto la signora Mogherini a occuparsi di temi molto vari.
A un anno dal suo insediamento, l’Alto Rappresentante fa il punto sui grandi dossier aperti. Mette in guardia contro il rischio di una disintegrazione dell’Europa in assenza di regole comuni per gestire l’immigrazione; ricorda che l’analisi della Commissione sulla Finanziaria italiana per il 2016 non è ancora completata; respinge l’idea che i rapporti del mondo occidentale con la Russia siano segnati da una nuova Guerra Fredda; e risponde alle critiche su una politica estera europea «analfabeta».
Dopo mesi di discussione, i Ventotto hanno deciso in emergenza di ricollocare in giro per l’Unione 160mila rifugiati arrivati in Italia e in Grecia. Ai più, l’operazione sembra complicata, e l’idea di adottare un meccanismo permanente velleitaria.
La redistribuzione dei profughi è difficile da un punto di vista organizzativo, ma possibile e necessaria. È vero che per ora il numero di persone redistribuite nell’intera Unione è simbolico, ma in sei mesi, da quando la Commissione ha pubblicato l’agenda immigrazione, è stato adottato per la prima volta il principio di solidarietà in un ambito che prima era gestito a livello nazionale. Dicevo che non sarà facile applicare la redistribuzione, anche perché alcuni Paesi europei non hanno esperienza nell’accogliere stranieri. Bisogna fare quindi un lavoro di accompagnamento.
La scelta della redistribuzione è una deroga al Principio di Dublino, che prevede responsabilità dell’asilo al paese di primo sbarco. Anche su iniziativa italiana, Bruxelles ha promesso una riforma del quadro legislativo. Come crede che quest’ultimo possa evolvere?
Ormai, tutti sono consapevoli del fatto che il Principio di Dublino non dà all’Unione gli strumenti per reagire al fenomeno dell’immigrazione, provocato da guerre, povertà e cambiamenti climatici. Nessun Paese può gestire il fenomeno da solo. La crisi che stiamo vivendo in Europa non è dovuta al numero di rifugiati in arrivo dal Nord Africa o dal Vicino Oriente, ma alla mancanza di strumenti comunitari. Lo scollamento tra fenomeno europeo e strumenti nazionali è grave. La crisi peggiorerà, con reazioni a catena delle pubbliche opinioni e dei governi nazionali, se non ci doteremo di strumenti all’altezza. Senza questi, c’è il rischio della disintegrazione. Viceversa, se ci dotiamo di strumenti comunitari - e non sarà facile - potremmo fare un salto avanti nell’integrazione.
A proposito sempre di immigrazione: Bruxelles ha appena ricevuto la Finanziaria italiana per il 2016. Quale è la sua prima valutazione? C’è la possibilità che la Commissione sia magnanima nel giudicare i conti pubblici a causa della spesa nell’accoglienza dei rifugiati?
C’è grande apprezzamento a Bruxelles per il desiderio e la capacità del governo Renzi di introdurre riforme economiche in Italia. La serietà del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha molti e importanti estimatori. In un discorso martedì, il presidente Juncker si è detto pronto a valutare la spesa sostenuta sul fronte migratorio, Paese per Paese. L’Italia è tra quelli che hanno fatto uno sforzo straordinario. Il suo bilancio verrà quindi analizzato anche in questa ottica, ma l’analisi è appena iniziata e un giudizio alla luce dell’intera Finanziaria non è ancora stato formulato.
Parliamo ora di politica estera in senso stretto, e soprattutto di Russia. Entro fine anno, Kiev e Mosca devono applicare l’Accordo di Minsk su una riappacificazione dell’Ucraina orientale. A che punto siamo?
Siamo ancora lontani da una piena applicazione dell’intesa alla quale è legata la revoca delle sanzioni. Ma negli ultimi tempi sono stati compiuti passi avanti significativi per quanto riguarda il cessate-il-fuoco o il ritiro delle armi. La tendenza è positiva. Ciò detto, sarà il Consiglio europeo di dicembre a decidere sul regime sanzionatorio contro la Russia.
In questo anno, il difficile rapporto con Mosca ha tenuto banco. È giusto parlare di nuova Guerra Fredda, come fanno alcuni osservatori?
Non c’è nessuna Guerra Fredda. È vero che sanzioni contro Mosca sono ancora in vigore per via della crisi ucraina. In alcuni campi il rapporto è tra semplici interlocutori, per esempio in Europa orientale o in Asia centrale; in altri invece siamo ancora e sempre partner, come nell’accordo sul nucleare iraniano, nel processo di pace in Medio Oriente, nella scelta del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di sostenere una missione militare europea contro i trafficanti di esseri umani. Partner potremmo anche essere nella crisi siriana, sulla quale pochi giorni fa ho incontrato il ministro degli Esteri Serghej Lavrov con cui sarò di nuovo a Vienna domani per una riunione internazionale sempre sulla Siria.
È passato un anno dal suo insediamento a Bruxelles. Di recente il ministro degli Esteri olandese Bert Koenders ha definito la politica estera europea «analfabeta». Come reagisce?
Il commento è quello di una persona che vorrebbe una Europa ben più integrata di quella che abbiamo oggi. Lo posso capire e condivido la sua speranza, ma ancora non ci siamo. Il mio obiettivo è stato di far emergere concretamente tra i Ventotto l’interesse comune, e in questo anno abbiamo deciso sempre velocemente e insieme.
Una ultima domanda. È vero che il suo rapporto col governo Renzi, che l’ha designata nella Commissione Juncker, si è raffreddato? Forse l’apparente distanza è semplicemente connaturata al suo nuovo ruolo.
Ho giurato dinanzi alla Corte europea di Giustizia di servire l’Europa e tutti i suoi cittadini. È anche il modo in cui l’Italia interpreta l’esercizio delle funzioni europee. Ciò detto, il mio legame con la mia famiglia politica e con il mio Paese resta. D’altronde, la Commissione Juncker è una Commissione composta in maggioranza da ex ministri o ex premier. Abbiamo tutti legami stretti con il nostro Paese, ed è un punto di forza di questo esecutivo comunitario.