martedì 13 ottobre 2015

Il Sole 13.10.15
Il nuovo Senato e la prova dei fatti
di Paolo Pombeni


Oggi il ddl Boschi sarà approvato, salvo sconvolgimenti dell’ultima ora che al momento però nessuno prevede. Perché sia legge costituzionale occorrerà invece una ulteriore “lettura” fra qualche mese senza possibilità di fare modifiche, ma anche qui le previsioni sono per una approvazione rapida e senza sorprese. Per questo l’interpretazione comune è che il governo Renzi abbia conseguito il suo obiettivo di intestarsi quella riforma di un nodo della seconda parte della costituzione (il bicameralismo paritario) oggetto di critica sin dal giorno successivo all’approvazione della Carta del 1948. Anche in questo caso il passaggio non avviene certo fra un coro unanime di elogi, anzi tutt’altro. Lasciando da parte le previsioni fosche di crollo della democrazia e di possibile instaurazione di un “regime” (che, francamente, ci sembrano infondate), il nuovo assetto istituzionale contiene delle inevitabili incognite. Infatti nessuno può sapere quanto tempo ci metterà il nuovo senato a trovare le modalità di funzionamento appropriate, se al suo interno si affermeranno delle leadership in grado di guadagnarli peso politico (che non è determinato solo dalle “competenze” formalmente riconosciute), quali saranno le dialettiche interne che si instaureranno fra i suoi componenti.
Sono tutte cose che verificheremo solo alla prova dei fatti con l’avvio della vita della nuova istituzione, e siccome questa non arriverà a brevissimo, c’è da sperare che in quel momento ci sarà una volontà comune di far funzionare la nuova macchina. Non è appropriato immaginarla come un marchingegno superfluo, solo perché è priva della competenza, certo non insignificante, di esercitare il potere di fiducia verso il governo e di contribuire alla approvazione della maggior parte delle leggi. Possiamo avanzare qualche riflessione su alcuni punti che prevedibilmente creeranno delle dialettiche politiche le quali potrebbero essere sia positive che negative. Partiamo dalla nuova normativa per l’elezione del presidente della repubblica, che la impedisce a maggioranza semplice. Da un lato è una garanzia contro la prevalenza che in quelle votazioni potrebbe avere la lista vincitrice delle elezioni alla Camera secondo quanto prevede l’Italicum: e si faccia attenzione che non è detto che “lista” sia sinonimo di “partito”, almeno se intendiamo quest’ultimo termine nel suo significato tradizionale. Dal lato opposto però può anche costringere ad uno stallo molto pesante, se non si trovassero accordi che vadano al di là della maggioranza semplice: che non si tratti di pericoli ipotetici lo dimostra lo stallo che dura ormai da mesi nell’elezione di due giudici della Corte Costituzionale dove appunto è richiesta una maggioranza qualificata che non si riesce a trovare.
Restando a parlare di Consulta si può ipotizzare come interessante il potere di nomina di due giudici costituzionali da parte del nuovo Senato: si potrà vedere se in questo caso ci sarà una impostazione diversa da quella sin qui seguita di scelte che facevano riferimento ad affinità ideologiche di area politica. Sarebbe un test interessante per verificare se l’estrazione “regionale” dei nuovi senatori apporterà o meno nuove dislocazioni nella dialettica politica. Quest’ultimo aspetto è un’effettiva incognita da molti punti di vista. Alcuni analisti scommettono che alla fine tutto resterà nelle mani dei partiti “nazionali” e che la seconda camera produrrà semplicemente un rafforzamento o un indebolimento del potere del partito (o della coalizione) al governo. A noi sembra un ragionamento troppo superficiale. Innanzitutto bisognerà vedere come si articola la nuova legge elettorale che dà il quadro entro cui si muoveranno le legislazioni elettorali regionali. In secondo luogo va tenuto conto che comunque ben dieci regioni eleggeranno solo 2 senatori, di cui uno sindaco, dunque con spazi di scelta ridotti. Le nove che hanno fra i 5 (minimo: la Toscana) e i 14 (massimo: La Lombardia) senatori conosceranno dinamiche molto articolate e necessità di ricomposizioni dei fronti politici lungo linee che non sappiamo quanto possano essere omogeneizzate dal centro. Non si dimentichi infine che, salvo ulteriori riforme possibili, attualmente non tutte le legislature regionali si concludono insieme, per cui avremo un senato che si rinnova per quote e dunque in eterno movimento, il che, per restare ai due esempi citati sopra, nel caso dell’elezione del presidente della repubblica e in quello dei giudici della corte costituzionale dipenderà dal momento in cui quegli eventi si collocano per avere o meno un certo tipo di equilibrio politico interno all’organo.
Tutti sappiamo che siamo in tempi di forti sommovimenti politici e che non c’è alcuna stabilità di distribuzione dei consensi, soprattutto a livello regionale dove le trasformazioni in atto incidono con maggiore forza sulla platea degli elettori. Dunque il nuovo senato potrebbe anche diventare un termometro molto sensibile dei moti del paese e un incubatore non secondario di leadership politiche . Insomma, come sempre avviene nella storia delle riforme costituzionali, cosa si stia costruendo oggi lo si scoprirà solo alla luce dell’evoluzione storica a cui sarà sottoposto quanto escogitato.