il manifesto 27.10.15
Il governo sul «tetto» che scotta
Tasse. Scontro sulla direttrice dell’Agenzia delle entrate e sul contante a 3mila euro: Padoan difende Rossella Orlandi. Il sottosegretario Zanetti: «Serve un chiarimento politico con Renzi». Il ministro Franceschini: «Il limite più alto per i contanti non mi piace. Ma stavolta ha vinto Alfano»
di Andrea Colombo
Scontro nel Pd, nella maggioranza, nel governo. Si parla di tasse, anzi peggio, di evasione fiscale: quando la lingua batte dove il dente duole il putiferio è ovvia conseguenza. Ad aprire il fuoco era stata, due giorni fa, la direttrice della Agenzia per le entrate Rossella Orlandi, e non era andata leggera, denunciando senza mezzi termini una specie di boicottaggio da parte del governo: «Le agenzie rischiano di morire. Restano in piedi solo per la dignità delle persone che ci lavorano». Le quali sono peraltro destinate a diminuire, dal momento che la spending review prevede un taglio di 55 dirigenti su 1.095.
La replica, ancora più dura, arriva dal sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti, targato Scelta civica: «Se continua, le sue dimissioni diventano inevitabili». Parere personale? Macché, «il governo è con me» giura il sottosegretario. La minoranza Pd coglie l’occasione e attacca con Roberto Speranza: «Affondo inaccettabile. Ancora un segnale che nel governo c’è chi lavora per allargare le maglie della lotta all’evasione». E Arturo Scotto, capogruppo di Sel alla Camera, rincara: «Così si delegittima l’Agenzia. E’ pericoloso e dimostra scarso senso delle istituzioni».
A questo punto il Ministero dell’Economia non poteva evitare un intervento, e in realtà non poteva fare altro che offrire la sua copertura a Orlandi, che invece in via Nazionale è assai poco popolare. Tuttavia di fronte al rischio di passare per complici degli evasori non c’è impopolarità che tenga. Il ministero diffonde una nota che in parte risponde alle critiche della direttrice, negando però ogni addebito, ma si conclude con una riconferma: «L’Agenzia svolge un ruolo cruciale. Le competenze del personale e della dirigenza costituiscono un patrimonio che il governo intende salvaguardare. Nel contesto di immutata stima nel direttore, questo ministero è impegnato nell’attività di rafforzamento organizzativo e operativo dell’Agenzia». Tra le righe si nota qualche prudenza, in fondo il Mef non va oltre una tutto sommato poco impegnativa «immutata stima», ma se la riconferma della fiducia nella direttrice è claudicante, la sconfessione di Zanetti è invece piena. Il sottosegretario prima nega l’evidenza e giura che tra le sue posizioni e quelle di via Nazionale non c’è poi grossa distanza. Poi tripudia perché «ho fatto imbestialire l’intera sinistra e così non ho più dubbi di essere nel giusto». Quindi tenta il rilancio e chiede, a nome di Scelta civica, un «incontro politico dirimente e chiarificatore» con il premier.
Fosse un altro partito, persino l’Ncd inesistente nel Paese ma robusto in parlamento, si dovrebbe parlare di grosso problema. Ma Sc è un partito che non c’è nel Paese e neppure in parlamento, quindi il ruggito di Zanetti non impensierisce il premier. A differenza del braccio di ferro tutt’altro che concluso con l’Agenzia. Per valutare appieno la portata del guaio bisogna tenere presente che Rossella Orlandi non viene affatto dalla cordata di Befera, il suo predecessore inviso a Renzi. Il posto che ha lo occupa anzi grazie a un imprevisto colpo di scena dovuto al medesimo Renzi, che decise di silurare il vice di Befera, Marco Di Capua, la cui nomina, indicata dallo stesso direttore uscente e già vistata da Mef, pareva cosa certissima. Ma Di Capua avrebbe proseguito con il metodo Befera, tutt’altro che popolare, e il quasi-papa fu affossato in extremis per fare posto alla Orlandi, che aveva la fiducia del capo e il cui compito era proprio quello di cambiare strada rispetto alla «strategia dei blitz» dell’Agenzia. Ma qualcosa non deve aver funzionato, perché se Zanetti si è permesso l’affondo in questione è perché sapeva che il malumore nei confronti della Orlandi non è confinato nel suo studio o nel ministero di via Nazionale, ma coinvolge il pieno anche palazzo Chigi.
Non è l’unico incidente. L’ulteriore scontro chiama in causa un ministro e dirigente del Pd di serie A: Dario Franceschini. Confessa di essere contrario all’innalzamento del tetto del contante e indica il responsabile: «Lo avevo già bloccato altre volte. Stavolta ha vinto Alfano». Il quale conferma: «Ha ragione». Per Alfano, in effetti, vantare il risultato in questione è un successo. Per Renzi, invece, non è affatto positivo, in termini di immagine, che una norma denunciata da più parti come sostegno neppure mascherato all’evasione e al lavoro nero appaia come imposta da uno dei leader meno apprezzati dall’elettorato di centro sinistra.