martedì 13 ottobre 2015

il manifesto 13.10.15
L’analfabeta costituzionale
Riforma. Dalla A alla Z, tutti i pericoli e gli errori della nuova Costituzione voluta da Renzi. La fretta del presidente del Consiglio, le forzature regolamentari, la presa del governo sul parlamento, i rischi per il presidente della Repubblica. E anche qualche miglioramento. Soltanto promesso
di Andrea Fabozzi


«Le riforme sono l’Abc per diventare un paese come gli altri», è una delle tante dichiarazioni del presidente del Consiglio. Ma la sua «riforma» può far diventare l’Italia un paese assai meno democratico.
Ecco il nostro Abc.
Annunci. Non era ancora a palazzo Chigi ma già proponeva la sua costituzione. Renzi ha cambiato idea sul contenuto della legge di riforma — era partito da un senato composto da sindaci e personalità nominate dal presidente della Repubblica — ma ha mantenuto la fretta. Nell’aprile dell’anno scorso proclamava: «Entro il 25 maggio dobbiamo arrivare al superamento del bicameralismo». Bicameralismo. Meno tre, meno due, meno un giorno alla fine del bicameralismo. L’Unità sta facendo il conto alla rovescia. E pazienza se il voto di oggi è ancora il penultimo passo della prima lettura della riforma. Tra tre mesi prima il senato e poi la camera dovranno confermare il voto con la maggioranza assoluta. Tra almeno un anno ci sarà il referendum. E se anche andasse tutto bene per il governo, il bicameralismo non finirà. Perché è confermato per una lunga lista di leggi (prende 350 parole nel nuovo articolo 70 della Costituzione) e perché il senato potrà decidere di richiamare qualunque provvedimento. Non darà più la fiducia al governo, ma il senato avrebbe potuto essere cancellato del tutto. È stato proposto, Renzi ha lasciato cadere. Avrebbe dovuto mettere in discussione la nuova legge elettorale ultra maggioritaria per la camera.
Costi. L’annuncio è arrivato ovviamente via twitter, a gennaio 2014: «Via i senatori, un miliardo di tagli alla politica». I senatori non avranno un secondo stipendio oltre a quello di consiglieri regionali, ma andranno rimborsati per i loro viaggi a Roma. La struttura di palazzo Madama resterà. Secondo la Ragioneria dello stato i risparmi non supereranno i 50 milioni l’anno. Secondo calcoli più generosi si può arrivare a 150 milioni. Siamo lontani dal miliardo.
Diritti delle minoranze. È uno degli argomenti usati dai difensori della riforma per negare la svolta autoritaria: «Ma se abbiamo introdotto i diritti delle minoranze parlamentari». Non è esatto: nel nuovo articolo 64 della Costituzione c’è solo un rinvio. Si dichiara che i diritti delle minoranze e lo statuto delle opposizioni saranno previsti dai regolamenti delle camere. In futuro ed eventualmente.
Elezione. Il risultato della mediazione tra Renzi e la minoranza del Pd è una quasi elezione diretta dei senatori. La formula magica è rinviata al giorno in cui saranno approvate le leggi elettorali regionali. Il sistema dovrebbe prevedere l’indicazione da parte degli elettori, sulla base di un listino predisposto dai partiti, e la conferma della scelta da parte dei consiglieri regionali. Il numero dei senatori-consiglieri che andranno a ciascuna forza politica dipenderà però dalla consistenza dei gruppi regionali, non dalle preferenze dei cittadini.
Funzioni del senato. Non sarà un senato delle garanzie. Avrà poteri di inchiesta parlamentare assai limitati — sulle materie concernenti le autonomie territoriali — e senza la certezza che la commissione d’inchiesta rappresenti le minoranze. Paradossalmente per i sostenitori della fine del bicameralismo paritario, il nuovo senato conserva poteri legislativi non banali e ha una funzione non ben definita di «raccordo» tra le regioni e lo Stato, tra le regioni e l’Unione europea. Può esprimere pareri sulle nomine di competenza del governo, non vincolanti.
Guerra. La dichiarazione dello stato di guerra che oggi è di competenza di entrambe le camere passa alla sola camera dei deputati. Servirà la maggioranza assoluta, quella che il primo partito avrà garantita dal premio elettorale. Non è stato modificato l’articolo 60 della Costituzione in base al quale dopo la dichiarazione di stato di guerra con una legge ordinaria si può prolungare la durata della legislatura e rinviare le elezioni.
Immunità. Ai 5 prescelti dal Capo dello stato, ai 74 consiglieri regionali, ai 21 sindaci promossi al senato si applicherà pienamente l’articolo 68 della Costituzione, che non è stato toccato. Non potranno essere intercettati, perquisiti, arrestati senza l’autorizzazione del senato. Le proposte di abolire queste garanzie per i i politici locali, che non brillano per i curriculum cristallini, o di limitare la copertura all’attività parlamentare, sono state respinte dal governo. O meglio rinviate. Avrebbero rallentato la corsa.
Legge elettorale. Non si capisce la riforma costituzionale senza la nuova legge elettorale. Sia da un punto di vista pratico: l’Italicum serve a eleggere solo i deputati. Sia da un punto di vista politico: alla camera il vincitore potrà contare sulla maggioranza assoluta. E potrà cambiare ancora la Costituzione, anche nella prima parte che questa volta non si è formalmente toccata.
Maggioranze. È infatti una questione di numeri. L’Italicum assegna almeno 340 seggi su 630 della camera al primo partito. Il quale grazie al ballottaggio resta primo anche se raccoglie una percentuale bassa di votanti al primo turno — anche il 20%. Al senato il sistema premia le maggioranze regionali (oggi in 17 casi su 20 del Pd) e assegna almeno 60 seggi su 100 allo stesso partito.
Nazione. Solo i deputati continueranno a rappresentare la nazione. Il senato «rappresenta le istituzioni territoriali». Salvo che i senatori di una regione non saranno obbligati a votare allo stesso modo (come in Germania) e resteranno così rappresentati innanzitutto del loro partito.
O così… o si va a votare. Matteo Renzi l’ha ripetuto a ogni passaggio della riforma in parlamento. Mettendo di fatto la fiducia sulla legge costituzionale. Non sta a lui sciogliere le camere, ma ha minacciato di farlo anche quando il presidente della Repubblica — che ha questo potere — non era in carica, tra le dimissioni di Napolitano e l’elezione di Mattarella.
Presidente della Repubblica. Continuerà a eleggerlo il parlamento in seduta comune, senza più i 58 delegati regionali. Il peso dei senatori crolla. Il potere della maggioranza aumenta, grazie al modo in cui sono stati disegnati i quorum.
Quorum. Nei primi tre scrutini per eleggere il presidente della Repubblica servono i voti dei due terzi degli aventi diritto. Oggi si tratta di 673 voti, in futuro di 487. Dal quarto scrutinio bastano i tre quinti dei componenti e dal settimo i tre quinti dei votanti. Bastano cioè 438 voti. Al primo partito, tra deputati e senatori, mancherebbero allora non più di una trentina di voti. Basterebbe qualche assenza, o una manciata di convertiti sul modello Verdini.
Referendum. Il ricorso agli strumenti di democrazia diretta è in teoria favorito dalla nuova Costituzione. In pratica ci sono solo rinvii a successive leggi costituzionali: per introdurre i referendum propositivi o per fare in modo che il parlamento sia obbligato a discutere le proposte di legge di iniziativa popolare. Di concreto e da subito c’è solo l’aumento delle firme che bisognerà raccogliere, triplicate per l’iniziativa popolare (da 50mila a 150mila), aumentate da 500mila a 800mila per il referendum (in questo caso però il quorum si calcola sulla metà più uno non degli aventi diritto ma dei votanti alle ultime elezioni per la camera).
Sindaci. Ventuno primi cittadini diventeranno anche senatori. Uno per la provincia di Trento, uno per la provincia di Bolzano e uno per ognuna delle altre 19 regioni. Saranno votati dai consiglieri regionali. Non è prevista alcuna indicazione popolare, nemmeno indiretta. Non c’è garanzia che i prescelti saranno i sindaci dei comuni più rappresentativi.
Transitorie. Nelle disposizioni transitorie della Costituzione del 1948 era scritto in poche parole che sarebbero diventati componenti del primo senato i membri dell’Assemblea costituente e i parlamentari dichiarati decaduti dal fascismo. Nelle nuove disposizioni transitorie si tenta di rimediare al pasticcio dell’elezione «quasi diretta» in assenza di elezioni regionali. Ma in 13 commi non ci si riesce granché. Tanto che per avere un senato composto interamente da parlamentari almeno indicati dai cittadini bisognerà aspettare il 2022.
Ultimi giri. Dopo il voto di oggi al senato, la legge di revisione torna alla camera. Dove però potranno essere discussi solo gli articoli modificati al senato, in tutto sei. La procedura dell’articolo 138 della Costituzione, prevista per revisioni limitate e qui utilizzata per cambiare 47 articoli (più di un terzo della Carta), stabilisce una pausa di riflessione di tre mesi e successivamente un nuovo voto di ciascuna camera con l’obbligo della maggioranza assoluta. Il governo dovrà riuscire a conservarla anche al senato (alla camera non è un problema), ma resterà in ogni caso lontano dallo soglia qualificata dei due terzi. Potrà allora tenersi il referendum confermativo, per il quale non è previsto un quorum minimo di partecipanti.
Voto a data certa. Oltre i numeri blindati dal premio di maggioranza, la presa dell’esecutivo sulla camera aumenta grazie a nuovi strumenti. Come i disegni di legge «essenziali per l’attuazione del programma» che i deputati sono tenuti a votare entro settanta giorni. Maxiemendamenti, fiducia e decreti legge restano tutti.
Zittiti. L’ultima parola è sul modo in cui sono stati condotti i lavori parlamentari. Bloccate le commissioni per volere della maggioranza, legate le opposizioni con i tempi contingentati, stroncato l’ostruzionismo con la tecnica (fuori dal regolamento) del «canguro», le minoranze sono state ridotte all’impotenza: neanche un loro emendamento è stato approvato. E oggi molti senatori diserteranno l’aula.