martedì 13 ottobre 2015

Corriere 13.10.15
gli Effetti collaterali della riforma del senato Compromessi L’aiuto di Verdini non è un problema etico ma politico Si risolve se verrà detto no alle modifiche dell’Italicum chieste dal gruppo di senatori che ha difficoltà a tornare in Parlamento
di Stefano Passigli


Dopo l’accordo tra Renzi e la minoranza Pd, e malgrado gli accesi scontri in assemblea, il cammino del disegno di legge costituzionale appare oramai in discesa. Quale che sia il giudizio sulle grandi scelte della riforma, l’accordo stesso merita di essere valutato per i discordanti effetti che esso può avere.
Da un lato infatti non si può non darne un giudizio positivo: entrando la nuova legge elettorale in vigore solo tra nove mesi, una sconfitta parlamentare del governo non avrebbe portato ad elezioni ma ad un debole Renzi 2 o al permanere in carica di un governo azzoppato, incapace di varare una legge di Stabilità coraggiosa e di attuare le deleghe su giustizia e pubblica amministrazione, aumentando quel distacco dalla politica che continua ad essere uno dei più pericolosi tratti del nostro sistema.
Non si può tuttavia tacere che i 160 voti con cui è stato approvato l’articolo 2 rappresentano un serio problema, non solo per l’esiguità del consenso con cui ci si accinge a modificare la nostra Legge fondamentale, quanto per la stessa origine di tali voti e per la necessità di avere nella lettura finale la maggioranza assoluta dei componenti il Senato (161 voti).
Ho già espresso su queste colonne la mia convinzione che l’equilibrio tra poteri e le funzioni del nuovo Senato, piuttosto che le sue modalità di elezione, fossero il cuore del problema; l’aver scelto invece l’elettività quale terreno di scontro è stato probabilmente un errore che ha aperto al governo la via per la ricerca di un supporto trasformistico che ha origini ben più lontane dello stesso patto del Nazareno. Quest’ultimo aveva infatti le caratteristiche di una potenziale grande coalizione, con tutti i pregi e i difetti già mostrati nell’esperienza dei governi Monti e Letta e insiti nel concetto stesso di simili alleanze.
Il supporto dato al governo dal gruppo di transfughi da Forza Italia raccolto da Denis Verdini ha invece tutte le caratteristiche del più opportunistico trasformismo, e traduce del resto l’esperienza stessa del suo fondatore, cui indirettamente devo il mio passaggio dalle aule universitarie alla politica attiva. Era il 1992; Verdini era già allora figura discussa: vistasi rifiutata la candidatura dal suo Psi, cercò e trovò ospitalità come indipendente nelle liste repubblicane. In uno stesso giorno ricevetti le telefonate di Spadolini e Visentini che mi sollecitavano a candidarmi per fermarne la possibile e non gradita elezione. Vinsi con più del doppio delle preferenze di Verdini che, finito terzo, abbandonò subito il Pri per candidarsi di lì a poco nell’Elefantino di Segni e Fini. Nuovamente sconfitto, fu eletto consigliere regionale da Forza Italia, nelle cui liste entrò finalmente nel 2001 in Parlamento completando così il suo percorso dalla sinistra alla destra. Il resto è storia recente.
Giustifica questa storia la levata di scudi contro il suo appoggio alla riforma costituzionale? Malgrado il suo consolidato trasformismo e i suoi altrettanto consolidati problemi giudiziari, si può anche concordare — appellandosi a Machiavelli — con quanti ritengono che i voti di Verdini non pongano un problema etico; ma è difficile negare che essi non pongano un problema politico. Questo problema ha però una concreta possibilità di soluzione: il rifiuto di modificare l’Italicum sul premio di maggioranza.
Il raggruppamento di Verdini non ha voti, nemmeno in Toscana, e i senatori che ne fanno parte possono sperare di tornare in Parlamento solo se l’Italicum fosse modificato per introdurre il premio di maggioranza alla coalizione e abolire altresì la soglia del 3 per cento per le liste coalizzate, o nell’improbabile ipotesi che il Pd accogliesse i vari Barani e D’Anna tra le proprie candidature, malgrado che i sondaggi indichino in tal caso una forte crisi di rigetto da parte dei suoi elettori. Si aggiunga che se non vuole incoraggiare il peggior trasformismo e un ritorno alla frammentazione partitica il Pd dovrà mantenere il premio alla lista e non alla coalizione, opponendo un fermo «no» alle richieste di Alfano, Verdini, della Destra e paradossalmente della minoranza Pd, la cui richiesta di concedere il premio di maggioranza alla coalizione è un vero e proprio esempio di masochismo politico, dato che esso favorirebbe il formarsi di un grande partito di centro e non certo un’alleanza con SeL e tantomeno con i 5Stelle.
Superata la spasmodica attenzione al tema della elettività del Senato, a spese del più rilevante tema delle sue funzioni, è augurabile che il dibattito politico non sia monopolizzato nei prossimi mesi dal tema della riforma dell’Italicum e si concentri invece, anche in vista del futuro referendum confermativo, su quello che è il vero problema che nasce dalla riforma in corso: la necessità di assicurare l’indipendenza dalla maggioranza politica delle magistrature di garanzia (Presidenza e Corte costituzionale), confermando così il permanere di un complessivo equilibrio tra poteri.