il manifesto 11.10.15
Riforme, la non autocritica di Bersani
Senato. L'ex segretario ammette: sono stati scritti "bizantinismi costituzionali". Parla della mediazione sulla quasi elezione dei senatori che la minoranza Pd ha firmato. Renzi intanto prova gli slogan per la campagna referendaria: "Meno politici"
Antivigilia del grande giorno per il governo. Martedì il senato darà l’ultimo voto, scontato nell’esito positivo, al disegno di legge Renzi-Boschi che riscrive un terzo della Costituzione del ’48. Il presidente del Consiglio non sta nella pelle da giorni e anche ieri è tornato a esultare: «Avremo un paese più semplice con meno politici a tempo pieno». Si riferisce ai cento senatori invece degli attuali 321, trascurando però di ricordare che le proposte di riforma alternativa prevedevano una riduzione ancora più forte attraverso il dimezzamento dei deputati (che invece la maggioranza ha voluto confermare a 630).
Renzi ha detto anche, parlando agli industriali di Treviso, che «non voglio ridurre il livello di democrazia, ma il numero di chi fa politica». Difficile negare che tra le due cose ci sia un rapporto proporzionale, a meno di non considerare un pericoloso esponente della «casta» chiunque fa politica. Forse Renzi intendeva questo. Con un anno di anticipo, è già in campagna elettorale per il referendum confermativo. Ha bisogno di slogan semplici.
Che la riforma costituzionale sia invece venuta fuori tutt’altro che semplice, ma assai faticosa nella lettura e nel funzionamento, lo sostiene adesso anche uno dei suoi più recenti estimatori. Pier Luigi Bersani, che da capofila dell’opposizione interna al disegno di legge Renzi-Boschi, si è trasformato in sponsor dopo l’accordo tra la minoranza democratica e il governo sulla «quasi elezione» diretta dei senatori. «Si poteva arrivare a questi risultati importanti, ma di elementare buonsenso — ha scritto ieri su facebook l’ex segretario Pd — senza impuntature, senza lacerazioni, ma soprattutto senza bizantinismi costituzionali». Riferimento evidente agli articoli 2 e 39 della legge di riforma che si prestano a contrastanti e complicate interpretazioni, sia per il modo in cui i cittadini potranno effettivamente scegliere i nuovi senatori, sia per il momento in cui cominceranno a farlo. Ma è precisamente la mediazione che la minoranza Pd ha accettato.
Il presidente del senato grasso, la cui conduzione d’aula ha scontentato parecchio le opposizioni, teme proteste scenografiche durante l’ultima votazione in diretta tv martedì pomeriggio. E, sollecitato dal Pd, ha convocato martedì mattina un consiglio di presidenza che si occuperà di sanzionare i senatori grillini più vivaci in aula. E dimettere tutti gli altri sull’avviso.