domenica 25 ottobre 2015

Corriere La Lettura 25.10.15
Il Mediterraneo? È un sentiero circolare
di Giovanni Brizzi


Quattro itinerari marittimi compongono il libro di Alessandro Vanoli Quando guidavano le stelle (Il Mulino): da Atene a Cartagine e Ostia; da Costantinopoli, lungo le coste del Levante e africane, al Maghreb e all’Andalusia; dalle sponde adriatiche e Venezia a Ragusa; da Alessandria a Genova. Con continui balzi nel tempo, inoltre, da storico di vaglia che torna, con stupefacente e pur mai ostentata erudizione, dai giorni nostri al passato più remoto, all' Atene del 425 a.C. e al Pireo con Socrate o alla Valencia del 1099 per le esequie di Rodrigo Diaz de Vivar, il Cid Campeador, alla Palermo in attesa dei Normanni o alla Costantinopoli di Giustiniano. Così ci lasceremo volentieri inebriare da «colori, suoni, odori» di grande potenza evocativa, passando dal tanfo che ammorba l’aria nel porto di Costantinopoli al bianco bagliore abbacinante delle città mediterranee bagnate di sole; dal brusio nei vicoli dei loro mercati alla luce notturna delle stelle.
Per gran parte delle storie narrate, soprattutto quando toccano il mondo islamico, a Vanoli noto come a nessuno, mi è avvenuto di cedere deliziato al fascino intenso dell’opera. Solo minime, dunque, le mie considerazioni... Bahr , «molta acqua», era il nome dato dagli Arabi al mare: «Come per tutti i popoli di terra, il mare era una barriera, luogo ultimo nel quale non vi possono essere anime da islamizzare». Tra i termini usati dagli Elleni, Vanoli ricorda solo il generico thálassa ; ma la lingua greca ne possiede invece un altro: póntos . Che, ricollegandosi al sanscrito panthah , «sentiero», mette in rilievo la natura del mare, alto ed aperto: passaggio che collega (e non divide...) le terre all’intorno.
Se per Socrate, nel Fedone platonico, «la terra è qualcosa di immenso e noi ne abitiamo una piccola parte, dal Fasi alle Colonne d’Eracle; abitiamo attorno al nostro mare come formiche o rane attorno ad uno stagno», il quadro si precisa: un ristretto cerchio di regioni conosciute, attorno ad uno specchio d’acqua che unisce (e definisce: geographei ...) terre e popolazioni rivierasche.
Oggi il mare è di nuovo póntos , pur se chi lo traversa procede non più da est a ovest e viceversa, come Eracle-Melqart o Ulisse, ma da nord a sud. E induce a riflettere il fatto che, se gli odierni migranti non incontrano più i mostri di Omero, sperimentano però i pericoli della traversata e la pirateria dei mercanti di uomini; poco, ahimé, possono invece contare (sono troppi? Ovviamente...) su un Alcinoo che rispetti la legge di Zeus in materia di supplici.
Ma vi è ancora un altro termine che torna in mente qui: períplous , donde il nostro «periplo», che, grazie alla presenza della preposizione perì , sottolinea il carattere circolare della navigazione perfetta e la natura chiusa del nostro mare. Una dimensione a sé. Il libro di Vanoli è in fondo questo, un periplo ideale, dell’emozione e della memoria, intorno a una dimensione che non esiste più, ma che l’autore profondamente ama.