Corriere 9.10.15
L’intervista «Il diavolo è una realtà e vuole dividere i vescovi»
Il cardinale Schönborn: non cadiamo nella tentazione di fare partiti
intervista di Gian Guido Vecchi
CITTÀ DEL VATICANO Com’è il clima, eminenza?
«Come vede, ci siamo già battuti!», ride il cardinale Christoph Schönborn, e si indica l’occhio sinistro un po’ gonfio per via di un’irritazione. Arcivescovo di Vienna, grande teologo domenicano allievo di Joseph Ratzinger, è moderatore del circolo di discussione in lingua tedesca: lui stesso, Kasper, Marx, Müller e così via, il gruppo è tanto autorevole quanto vario. L’approfondimento è cominciato. Fuori dal Sinodo è scoppiato un temporale, tuoni e fulmini su San Pietro, il cardinale austriaco si ripara sotto il porticato del Bernini.
Padre Adolfo Nicolás, generale dei gesuiti, diceva al «Corriere»: Francesco potrebbe procedere più rapido da solo ma non vuole, ama la Chiesa e la Chiesa ha bisogno di tempo...
«Vero. Il Papa ha sempre parlato del syn-odós nel senso di camminare insieme. E non solo con i vescovi ma con tutta la Chiesa. All’inizio del Sinodo ci ha detto: voi vescovi siete qui con le vostre chiese, con tutto il popolo di Dio. Il pastore non arriva da solo, porta con sé tutto il gregge. Facciamo un cammino assieme. E poi c’è un aspetto molto da gesuita nel procedere di Francesco, ciò che Ignazio di Loyola chiama il discernimento: qual è la volontà di Dio? E si cerca la volontà di Dio non solo nella preghiera, come lui fa e ci invita spesso a fare…».
E in che altro?
«Nell’ascolto. Siamo qui per ascoltare le esperienze, le sensibilità, le sofferenze. Anche le paure. Francesco ci ha detto: parlate con franchezza e ascoltate con umiltà. In questo modo, poco a poco, si fa discernimento. A volte c’è una luce chiara, immediata: si è visto per esempio nella reazione del Papa davanti alla sofferenza dei profughi, un atto immediato di compassione e vicinanza. Altre volte il discernimento è più lento, ci sono cose che richiedono più tempo. E questo è il cammino di questo processo sinodale».
Parlava di ascolto delle paure. In aula chi teme «cedimenti» è arrivato ad evocare l’azione del Maligno. Come si risponde a queste paure?
«Il demonio è una realtà. Penso che pochi Papi abbiamo parlato tanto del diavolo come fa Francesco. È una realtà che per esempio ci fa cadere nella tentazione di opporci, di fare partiti, come se ci fossero dei partiti politici. Di entrare nella logica della divisione. Il diavolo, diá-ballo , è alla lettera colui che divide, che provoca confusione. Anche Gesù ha detto che dobbiamo avere paura di questo. Però senza lasciarci condizionare».
E come si fa?
«Ne ha parlato il Papa: la risposta è la fiducia, la fede. Il pericolo c’è sempre, è vero. Lo stesso Francesco ci ha elencato cinque tentazioni, e tra queste il lassismo e il rigorismo: la tentazione di medicare le ferite senza prima curarle e la tentazione della durezza, della mancanza di compassione e misericordia. Io penso che siamo in un cammino abbastanza laborioso ma necessario, più che mai necessario. Un cammino di discernimento, appunto».
Il metodo dell’approfondimento nei tredici «circoli» linguistici può aiutare?
«Sì, è molto più efficace dell’assemblea plenaria dove i discorsi si succedono senza connessione».
Ha fiducia che si arrivi a un cammino condiviso dopo le divisioni iniziali in aula?
«Non direi divisioni: sono sensibilità e attenzioni diverse. Solo che, se uno concentra la propria attenzione su un punto, corre il rischio di non vedere gli altri aspetti. E questo è un pericolo per tutti noi. Il Sinodo tende alla sinfonia, alla concordia dei cuori».
Come si fa a comporre dottrina e misericordia?
«Il Vangelo è il cuore della dottrina, la verità che si applica per la vita e la felicità della gente. Tra la dottrina e la misericordia non dovrebbe esserci contrarietà, perché la dottrina del Vangelo è piena di misericordia: la grande dottrina del Vangelo è l’amore per i nemici, il perdono dei peccati. Gesù, come ha ricordato il Papa, è venuto come un medico: “non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”».
Già nel Sinodo dell’anno scorso aveva raccontato di essere figlio di divorziati e proposto un atteggiamento molto aperto, pastorale, nelle situazioni più controverse, comprese unioni di fatto e omosessuali. Ma come si fa a trovare una regola quando si parla di «accompagnamento» di «situazioni concrete»?
«Questo non è possibile, chiaro. La norma è la regola di vita: non mentire, non rubare sono regole generali. Ma il cardinale Josef Frings dopo la Seconda guerra mondiale, diceva alla gente: se stai morendo di fame e prendi qualche cosa solo per sopravvivere, non è rubare».