mercoledì 7 ottobre 2015

Corriere 7.10.15
Missioni italiane. Regole d’ingaggio. Sorveglianza e ricognizione
Questi i compiti dei nostri caccia con base in Kuwait
Anche in Afghanistan era così. Poi qualcosa è cambiato
di Michele Farina


Occhio al pod del Tornado: «Per ora i quattro caccia italiani in missione anti-Isis hanno soltanto il pod di sorveglianza», dice al Corriere Pietro Batacchi, 38 anni, direttore della Rivista Italiana Difesa . In gergo militare il pod è un contenitore smontabile, un «accrocchio» che si piazza e si riempie sotto la pancia del velivolo a seconda della missione. Attualmente i nostri caccia volanti nei cieli dell’Iraq non hanno il pod da combattimento (sono disarmati): mancano del sistema di designazione o targeting che serve ad «illuminare» i bersagli per le proprie bombe o per le bombe di altri aerei.
Gli ultimi caccia italiani ad aver sganciato bombe in zone di guerra sono stati tre Amx, velivoli che hanno sostituito i Tornado nella missione aerea in Afghanistan terminata nell’estate 2014 (dopo 10.000 ore di volo e 3.100 missioni). Nell’ambito dell’operazione Isaf i nostri apparecchi inizialmente si alzavano in volo per raid di sorveglianza e ricognizione. Non lanciavano bombe ma scattavano foto. Poi le «regole di ingaggio» sono cambiate, nel periodo del governo Monti, con il mutare delle condizioni a terra e il crescere della minaccia talebana. Mentre gli elicotteri Mangusta già da tempo venivano impiegati in attacchi al suolo.
Tutto dovrebbe dipendere dalle «regole» della guerra. In inglese RoE, «Rules of Engagement»: i limiti che definiscono quando, dove e come le forze in campo debbano e possano essere utilizzate. Tali coordinate sono spesso un rebus. Si tratta, sottolinea Batacchi, di «documentazioni in gran parte classificate». Ovvero segrete. «Negli ultimi tempi un cambiamento delle regole di ingaggio richiede sempre più spesso un passaggio in Parlamento».
Una decisione politica. L’occasione per discuterne potrebbe essere il giro di boa annuale del rifinanziamento del «decreto missioni» (la partecipazione delle nostre forze armate alle missioni all’estero). Decreto già entrato in scadenza. Per ora i nostri Tornado (e i due Predator che fanno loro compagnia nell’aria appiccicosa del Golfo) non hanno il pod da combattimento. Il Kuwait è uno dei quattro Paesi da cui partono i raid della missione anti Isis a guida americana denominata «Inherent Resolve» (gli altri sono Emirati Arabi, Qatar e da un mese la Turchia).
Con il ritiro quasi completato dall’Afghanistan, il nostro maggiore impegno militare resta la missione in Libano, dove oltre mille soldati italiani operano nell’ambito dello squadrone Onu di peacekeeping. In quel quadro, le regole di ingaggio delle Nazioni Unite prevedono l’uso della forza soltanto per motivi di autodifesa. Niente pod da combattimento.