Corriere 5.10.15
Il caso dei fratelli Rosselli fra giustizia e politica
risponde Sergio Romani
A proposito del delitto dei fratelli Rosselli, chi fu ad accusare Filippo Anfuso della loro uccisione? Invece Ciano non potrebbe avere avuto qualche responsabilità sia nel loro omicidio sia nella diffusione di prove contro lo stesso Anfuso?
Alessio Trotta
Caro Trotta,
Qualche notizia, anzitutto, sui fatti. Carlo Rosselli fu uno dei maggiori avversari del regime fascista. Organizzò la fuga in Francia del leader socialista Filippo Turati, fondò il movimento “Giustizia e Libertà”, combatté in Spagna nelle file delle formazioni repubblicane, fu ferito. Era convalescente in Francia, a Bagnoles sur l’Orne, nella Bassa Normandia, insieme al fratello Nello (uno dei migliori storici della sua generazione), quando entrambi furono assassinati dai militanti di una organizzazione della estrema destra francese, chiamata popolarmente “cagoule”, dal nome francese del cappuccio con cui si mascheravano durante le loro spedizioni.
Gli assassini furono individuati e processati in Francia, ma il mandante era verosimilmente a Roma. Gaetano Salvemini, lo studioso antifascista che era stato maestro e amico dei fratelli Rosselli, volle indagare sulla loro morte e giunse a una duplice conclusione: che la regia era stata dei servizi segreti italiani e che il benestare era stato dato da Galeazzo Ciano, allora ministro degli Esteri. Salvemini credeva anche nella diretta responsabilità di Mussolini, ma Renzo De Felice, autore di una monumentale biografia del capo del fascismo, sollevò qualche obiezione. Gli sembrò difficile credere che Mussolini avesse esplicitamente autorizzato l’assassinio di un nemico politico nel momento in cui cercava di ricucire i rapporti con la Gran Bretagna. Gli sembrava più plausibile che l’iniziativa fosse stata di Ciano. Come ricorda De Felice, vi fu in quel periodo una conversazione di Mussolini con un suo confidente, Yvon de Begnac, in cui il capo del governo avrebbe detto: “Altri due morti attraverso la nostra strada. La storia deciderà sul perché della loro sorte. Non sempre il potere arriva a controllare le azioni dell’apparato che lo rappresenta”.
Non credo che Ciano abbia cercato di scaricare sul suo capo di gabinetto (Anfuso) le proprie responsabilità. Erano troppo amici. Ma è l’amicizia, per l’appunto, che può giustificare qualche sospetto su una possibile complicità. Non è con i sospetti, tuttavia, che si scrivono le sentenze. Dopo il non luogo a procedere della magistratura francese per un crimine che era stato commesso in Francia, il Tribunale d’appello di Perugia dovette giungere alla conclusione che la condanna a morte “con fucilazione alla schiena” non fosse più giustificata.