sabato 31 ottobre 2015

Corriere 31.10.15
Pd
La sinistra chiede il congresso. Il leader: penso a cose serie
Beatrice Lorenzin candidata a Roma con il sostegno dem? No Matteo Orfini
63,9 la percentuale di voti ottenuta da Ignazio Marino al ballottaggio alle Comunali contro Gianni Alemanno nel giugno 2013
Il segretario lascia a Orfini la gestione della difficile partita delle urne
di Maria Teresa Meli


ROMA «Quando si ricoprono certi ruoli è necessario essere leali e responsabili, comunque, per quanto mi riguarda, il capitolo Marino è archiviato, se lui se ne vuole andare spargendo fango, faccia pure, io mi occupo di cose serie»: Matteo Renzi non ne può più di questa vicenda romana e vuole porre fine a tutta questa storia.
Ma è ovvio che gli strascichi della polemica sul sindaco dimissionato non si sopiranno nel giro di ventiquattr’ore. Sul campo restano molte macerie e più di un ferito. Il commissario Matteo Orfini, che è riuscito alla fine a ottenere le dimissioni di 26 consiglieri comunali, per il momento resta al suo posto. Sarà lui a gestire il Pd romano di qui alle elezioni. Il che significa che farà (insieme al segretario, ovvio) le liste per le amministrative. Ma vuol dire anche, come sottolineava qualche renziano capitolino, che se il Partito democratico andrà male alle elezioni, ci sarà un capro espiatorio da mettere sul banco degli imputati.
Insomma, ancora una volta Orfini deve affrontare una missione quasi impossibile. Ma il premier su questo è stato chiaro più volte. Lui della Roma politica non si vuole occupare. «Ci sono delle situazioni che fanno veramente schifo», ha confidato ai collaboratori.
Renzi è invece pronto a mandare in porto «nel migliore dei modi» l’operazione Giubileo. Per farla breve, lui intende mettere la faccia sul tentativo di ricostruzione della Capitale, con il commissario, il dream team e il prefetto Gabrielli. Mentre si tiene rigorosamente lontano dalle beghe del partito capitolino, che è dilaniato. E diviso.
Una fetta del Pd romano vorrebbe infatti le dimissioni di Orfini da commissario, accusandolo di aver gestito al peggio tutta la «vicenda Marino».
Ma il presidente «democrat», come si è detto, resta al suo posto per volere di Renzi. Il quale continua ostinatamente a non seguire i consigli di chi, anche tra i suoi, lo invita a metter mano al partito, non solo nella Capitale. Già, perché ormai, soprattutto in alcune aree del Paese, il Pd fa fatica a tenere il passo del suo segretario. Quello che spinge il premier a non occuparsi del Pd, a non farne una formazione politica più strutturata, come chiedono in diversi, è la sua idea di «partito non liquido, ma liquidissimo», come ebbe a dire una volta, scherzando, ma non troppo.
Per Renzi il Pd è incarnato dai suoi amministratori locali, dai governanti, dagli elettori, da quanti andranno a formare i «comitati del sì» al referendum consultivo sulla riforma costituzionale. È chiaro che se questa è la sua visione, finirà sempre per scontrarsi con quella, diametralmente opposta, della minoranza.
Minoranza che, proprio dagli accadimenti romani, trae spunto per una nuova battaglia contro il leader. Adesso, la richiesta degli oppositori interni di Renzi è quella di un congresso nazionale straordinario. Infatti, si imputa al premier e non solo a Orfini, la decisione di coinvolgere anche consiglieri che provengono dal centrodestra per riuscire a defenestrare Marino.
«Renzi — spiega il bersaniano Nico Stumpo — ha vinto il congresso scorso sulla base di questo slogan: “Mai più con la destra”. Evidentemente per lui le cose sono cambiate, ora pensa al Partito della Nazione, vuole fare del Partito democratico un enorme Udeur e allora bisogna tornare alle assise nazionali. Saremo noi a impugnare il suo slogan “mai più con la destra”». Dunque, si profilano nuove tensioni nel Pd, dopo la caduta di Marino. Il presidente del Consiglio, però, fa mostra di non impensierirsene troppo: «Io mi occupo di cose serie, concrete», è il suo ormai abituale ritornello.