Corriere 31.10.15
Fine del duello destra-sinistra, ora lo scontro è fra populismi
Addio ai partiti. Con il crollo del Muro di Berlino non è caduto solo il comunismo ma è entrata in crisi anche la socialdemocrazia
E sul terreno del movimento operaio sono nati i movimenti antisistema
L’asse del confronto politico ruota attorno alla contrapposizione alto-basso
di Paolo Franchi
Ventisei anni fa, di questi giorni, cadeva il Muro di Berlino. Cambiava, non finiva, la storia. In Italia e in Europa, per cominciare, cambiava, e forse cominciava a finire, quella della sinistra. Molti pensarono (in Italia, a dire il vero, non troppi) che il lungo duello che l’aveva segnata si fosse concluso con il trionfo dei socialdemocratici; che fosse giusto così; e che occorresse trarne in fretta le conseguenze. Anche chi scrive la vedeva in questi termini, e non se ne pente. Quindi gli spiace non poco, tanto tempo dopo, dare qualche ragione a Fausto Bertinotti. Il quale, in una conversazione con Carlo Formenti ( Rosso di sera , Jaca Book), sostiene che la caduta del comunismo si è portata appresso quella della socialdemocrazia: simul stabunt, simul cadent .
Ciò che non era vero nel 1989 lo è nel 2015? Almeno in parte, sì. Perché magari non è morta come il suo storico antagonista, la socialdemocrazia, ma di sicuro è malata grave. E non si intravedono segni di miglioramento. Né per una socialdemocrazia per così dire classica, quella, letteralmente non riproducibile, che si incarnava nella vecchia Spd, nella dichiarazione di Bad Godesberg (1959), nel rifiuto della lotta di classe, nell’accettazione del modello di economia sociale di mercato, nella cogestione, mantenendo però il suo radicamento sociale. Né per le socialdemocrazie di tipo per così dire innovativo che, sull’onda del successo di Tony Blair e del blairismo, hanno battuto strade radicalmente diverse da quelle tradizionali del movimento operaio anche nelle sue componenti più moderate, più neoliberali che neosocialiste. È vero, in Italia, dopo l’Ottantanove, le cose sono andate inizialmente alla rovescia rispetto al resto del mondo, i socialisti in rotta, i postcomunisti a un passo dal potere. Ma le considerazioni di cui sopra hanno comunque parecchio da spartire anche con la semi estinzione delle componenti a vario titolo «socialdemocratiche» del Pd.
La lunga e spesso drammatica contesa tra socialismo democratico e comunismo ebbe per terreno di gioco, nell’Europa occidentale, la sinistra, in primo luogo quella parte fondamentale della sinistra che, per gli uni e per gli altri, si chiamava, ed effettivamente era, il movimento operaio. A partire dal 1989 questo terreno di gioco è diventato prima molto pesante, poi impraticabile. Di più. La stessa antitesi sinistra-destra spiega ben poco di quel che avviene in Italia e anche in Europa. Forse perché la sinistra si è lasciata letteralmente e consapevolmente risucchiare dalla destra «mercatista», come sostiene Bertinotti. Più probabilmente perché né la prima né la seconda, almeno per come le abbiamo conosciute, hanno più molto filo da tessere. Questo mondo non è più il loro mondo, anche se non è detto che sia un mondo migliore.
Per anni e anni, mentre da noi dottamente si disquisiva su un’ipotetica democrazia dell’alternanza tra una sinistra e una destra di stampo «europeo» che, guarda caso, non hanno mai preso corpo, in Europa e contro l’Europa (con la solitaria, significativa eccezione della Germania dove a tenere la barra ha provveduto però la Cdu) hanno accumulato forze sempre maggiori quei nuovi populismi di cui la nostra Lega era stata l’antesignana. Anche quando sono nati a destra, i loro exploit li hanno avuti e li hanno mietendo voti nell’elettorato popolare della sinistra, il più colpito dalla crisi, dalle politiche di austerità, dall’immigrazione, spesso in nome della difesa strenua di uno Stato sociale sì, ma non per lo straniero. E qualcosa significherà anche quel che va capitando nell’Europa dell’Est.
Non sono certo tutti la stessa cosa, non hanno tutti lo stesso segno, i partiti e i movimenti che, con un po’ di pigrizia intellettuale, chiamiamo populisti. Ma tutti hanno concorso e concorrono a spostare l’asse dello scontro politico, che, soprattutto ma non solo nell’Europa mediterranea, ruota sempre più (anche qui Bertinotti qualche ragione ce l’ha) attorno alla contrapposizione tra il «basso» e l’«alto», tra la cosiddetta gente comune con i suoi problemi e i poteri tradizionali con i loro privilegi, sempre meno attorno alla coppia destra-sinistra. E tutti hanno concorso e concorrono a modellare pure i comportamenti dell’avversario. Qui l’Italia gioca ancora una volta in anticipo, e può persino ambire ad esportare, in tutto o in parte, il suo modello. Governanti e oppositori, che trovano in fondo la loro legittimazione nella crisi della democrazia rappresentativa novecentesca, si regolano di conseguenza. I primi seminando ottimismo, i secondi annunciando l’apocalisse. Entrambi rivolgendosi direttamente al popolo degli elettori e additando (con successo) partiti e sindacati come un intralcio al cambiamento, se non come un inganno. Con tutte le loro colpe, verrebbe da dire: poveri socialdemocratici, e persino poveri comunisti. Tutto avrebbero immaginato, ma non che il loro duello andasse a finire così.