venerdì 2 ottobre 2015

Corriere 2.10.15
Malevic, l’Assoluto
L’ambizione alla purezza totale poi il recupero della materia il destino di un rivoluzionario
di Roberta Scorranese


Settanta capolavori e un progetto che unisce la città
Fino al 17 gennaio 2016, alla GAMeC — Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo, la mostra Malevic , a cura di Eugenia Petrova (vice direttore del Museo di Stato russo di San Pietroburgo), e Giacinto Di Pietrantonio (direttore della GAMeC). La retrospettiva (70 opere, incluse quelle di molti artisti russi coevi) è coprodotta dalla GAMeC e da GAmm — Giunti arte mostre musei, in collaborazione con il Museo di Stato russo di San Pietroburgo . catalogo GAmm Giunti. Info su www.mostramalevic.it . In parallelo, un circuito di iniziative unite sotto il titolo Tutti pazzi per Malevic promosso dai Servizi educativi della GAMeC: dall’Accademia Carrara al Teatro Donizetti, numerose istituzioni organizzano incontri (per grandi e per piccoli) sui temi legati al grande artista di origini ucraine. Saranno inoltre coinvolti nel progetto alcuni istituti superiori di città e provincia. Tutti gli eventi saranno raccolti e documentati all’interno del sito www.tuttipazzipermalevic.it .

Anche in Italia arriva la «Vittoria sul sole» opera d’arte totale
In occasione della mostra alla GAMeC, per la prima volta in Italia, una grande sala accoglierà la riedizione de la «Vittoria sul sole», prima opera totale di musica, arte, poesia e teatro, creata da Malevic con Michail Matjusin e Aleksej Krucenych ( nella foto, un bozzetto ). L’iniziativa si tiene a cento anni dalla nascita del Suprematismo, la più radicale tra le avanguardie storiche del Novecento di cui Malevic è stato fondatore, leader, e maggiore interprete. Dopo la mostra alla Tate di Londra del 2014 ( in cui sono state esposte alcune delle opere visibili anche alla GAMeC) a ottobre il museo bergamasco celebra quest’importante ricorrenza, in coincidenza con l’appuntamento della Fondazione Beyeler
di Basilea che proporrà la ricostruzione della sala suprematista del 1915.

Strano il destino toccato in sorte a Kazimir Malevic: ha trascorso una parte della sua vita a «uscire dal cerchio delle cose», a scarnificare la materia fino a raggiungerne lo spirito (un quadrato bianco su fondo bianco: il nulla e il tutto al tempo stesso) e un’altra parte a recuperare consistenza, con la consapevolezza (dolorosa) che la materia è parte di noi, che ci piaccia o meno. «Dio non può essere vinto», scriverà.
E la mostra che si apre alla GAMeC di Bergamo, curata da Eugenia Petrova e Giacinto Di Pietrantonio, può essere letta come una biografia ragionata del pittore nato a Kiev nel 1878 e morto a San Pietroburgo (allora si chiamava Leningrado) esattamente 80 anni fa, nel 1935.
Settanta opere, un corpus di lavori di altri russi vicini alle avanguardie a cavallo tra Otto e Novecento (Repin, Goncharova...) per ricostruire il terreno sul quale, un secolo fa, germogliò la corrente del Suprematismo, incarnata in Malevic.
Guardiamolo nel bizzarro Autoritratto con fiocco rosso . Era il 1907; due anni prima Kazimir era salito sulle barricate, nella rivolta di Krasnaja Presnja, preludio all’Ottobre del 1917. Era un rivoluzionario, un artista coltissimo, spaziava dalla poesia alla pittura all’architettura. Deciso a scardinare i limiti della forma, a «ripulire» lo spirito dei cascami della materia. La sequenza di questo progressivo annientamento scorre sulle pareti della Galleria bergamasca: Mucca e violino e Ritratto perfetto di Ivan Kljun del 1913. Poi il Quadrato Nero , una corsa infinita verso la purezza assoluta, fino al grado zero: nel 1919 Malevic smette di dipingere.
Comincia però a scrivere.
Poesie, lettere, riflessioni analitiche nel solco della tradizione speculativa russa (da Dostoevskij a Kandinskij, la poetica è inscindibile dalla filosofia). Tutto bene: la Rivoluzione dà corpo alle sue idee, diventa uno dei teorici della «nuova Russia in mano al popolo».
Finché la materia non torna, vendicandosi: nessuno è sublimabile, tutti siamo vittime delle nostre fragilità, tutto può ribaltarsi da un momento all’altro (più o meno negli stessi anni Pirandello lo aveva colto): le sentinelle rosse della cultura non capiscono che cosa sia questo Suprematismo. È una forma di grave individualismo? Nel mirino, additato come covo di sovversivi , finisce l’Istituto di Stato per la cultura artistica, da lui diretto.
Un colpo. Malevic recupera il rapporto con la forma, freneticamente. E gioca con il tempo: cambia le date ai dipinti, bara sul suo compleanno, camuffa la realtà come disperato tentativo di uscire dal «cerchio delle cose». Come annota Di Pietrantonio: «Un’arte antinaturalista, assoluta e senza gravità». Va a Varsavia, poi a Berlino. Siamo nel 1927: un telegramma gli intima di tornare in patria. Lascia in Germania quadri e scritti, sa che in Unione Sovietica sono a rischio (così come pure, peraltro, in Germania, ma azzarda). Il suo curatore, Hugo Hoering, li darà al Museo di Amsterdam.
Malevic verrà arrestato poco dopo, nel 1930, accusato di amicizie pericolose. Due mesi di carcere, poi il dolore. Lancinante, quello della consapevolezza: la purezza assoluta, intransigente, è pericolosamente vicina a quel mondo conservatore per combattere il quale ha rischiato la vita, ai primi del secolo. Ecco che tornano allora i suoi contadini, gli amatissimi custodi del silenzio (in mostra c’è una bella Testa di contadino ). Retrodata le sue opere, ai primi degli anni Dieci e solo in seguito si scoprirà che risalgono agli anni Trenta.
Si riavvicina alle icone sacre della tradizione, faro luminoso per tutti gli artisti russi in crisi. L’interesse per il Cubismo e il Futurismo (apprezzava sinceramente Marinetti) lasciano spazio a un recupero delle figure rinascimentali e si fa un autoritratto in cui veste come Cristoforo Colombo (1933). Sì, aveva scoperto un altro mondo e non si dava pace, senza sapere che altro doveva ancora arrivare. Dopo la sua morte, gran parte delle opere che si trovavano in casa Malevic furono sequestrate e finirono nei sotterranei del Museo russo di San Pietroburgo. Riemergeranno 65 anni dopo.
Oggi di lui ci resta la certezza che l’arte può e deve trovare una sua dimensione autonoma dal «cerchio delle cose». Eppure, guardate il bellissimo La casa rossa (1932), in mostra. Viene in mente quello che, più di un secolo prima, aveva scritto Hölderlin: «E tuttavia, poeticamente abita l’uomo su questa terra» .