Corriere 29.10.15
Come Parigi e Roma Riconobbero la Cina di Mao
risponde Sergio Romano
Gradirei sapere perché la Francia riconobbe la Repubblica popolare cinese nel 1964, mentre l’Italia tardò fino al 1970, nonostante gli interventi di Nenni e dell’ambasciatore Roberto Gaja. Si possono individuare dei motivi specifici?
Piero Campomenosi
Caro Campomenosi,
Quando un colpo di Stato militare lo richiamò al potere nel maggio 1958, il generale De Gaulle aveva due obiettivi. Voleva proporre nuovamente alla Francia la riforma costituzionale che non era stata approvata nel 1946 e voleva riscattare il suo Paese dallo smacco subito e accettato con la fallita spedizione di Suez del 1956. Francia e Gran Bretagna avevano tentato la conquista del canale e l’operazione militare stava riuscendo, ma avevano abbandonato la partita quando il presidente Eisenhower, a Washington, aveva manifestato chiaramente la sua disapprovazione.
Il governo francese del socialista Guy Mollet avrebbe preferito continuare a combattere, ma la rinuncia degli inglesi lo costrinse ad accettare l’ukase americano. De Gaulle promise a se stesso che quell’episodio non si sarebbe più ripetuto e che la Francia avrebbe fatto la propria politica estera senza accettare interferenze americane. Si sarebbe dotata di una forza nucleare «tous azimuths» (buona per tutti i punti geografici del globo). Sarebbe uscita dall’organizzazione militare del Patto Atlantico congedando il comando supremo dell’Alleanza, allora di stanza a Fontainebleau; avrebbe manifestato le sue riserve sull’utilità della guerra americana in Vietnam; avrebbe infine riconosciuto la Cina comunista. Altri Stati occidentali (Gran Bretagna e Olanda) avevano già fatto il passo qualche anno prima, ma gli inglesi, in particolare, erano giustificati dal desiderio di conservare Hong Kong e dalla necessità di avere rapporti con la maggiore potenza dell’Asia continentale. Altri Stati invece, fra cui l’Italia, si erano astenuti dal prendere iniziative che sarebbero spiaciute agli Stati Uniti.
A Roma il clima cambiò quando Mariano Rumor formò il suo primo governo nel dicembre del 1968 e il ministero degli Esteri fu assegnato a Pietro Nenni. Il leader socialista era alquanto diverso dall’uomo che aveva tenuto lo stesso ministero nell’ottobre del 1946. Aveva accettato l’esistenza della Nato ed era ormai persona gradita, o almeno non sgradita, agli americani. Ma voleva lasciare un segno progressista del suo passaggio alla Farnesina e chiese segretamente all’ambasciata d’Italia a Parigi di sondare i cinesi della ambasciata della Repubblica popolare sulla possibilità di un incontro confidenziale. I cinesi accettarono e vollero che il primo incontro avesse luogo nel palazzo italiano della rue de Varenne: un segno evidente che la ripresa dei rapporti diplomatici interessava anche Pechino. Come lei scrive nella sua lettera, caro Campomenosi, il negoziato durò quasi un anno. Ma è utile ricordare che in quei mesi, mentre negoziava con l’Italia, la Cina stava attraversando il turbolento periodo della sua rivoluzione culturale.