giovedì 29 ottobre 2015

Corriere 29.10.15
Le immagini appiattite profetiche del digitale
di Rachele Ferrario


Gli schermi luminosi sui grattacieli o quelli dei cellulari restituiscono l’idea della realtà in pixel. Le immagini digitali sono appiattite e galleggiano sullo sfondo, spesso manca la visione d’insieme e solo quando diventano segno riacquistano l’antico potere di simbolo. La perdita di definizione delle figure della nostra epoca è cominciata con la scoperta dell’elettricità, quando entra in crisi il concetto di prospettiva rinascimentale, che per secoli
ha visto l’uomo al centro del proprio spazio. È la generazione dei postimpressionisti ad accelerare la sintesi di una pittura che crea se stessa «in laboratorio». Il primo a ripudiare la prospettiva è Cézanne. Come accade oggi gli artisti sono investiti dal nascere di un’era tecnologica. La fotografia registra la realtà, ma regala ricerche e soluzioni prima impensabili: da Signac a Medardo Rosso, da Picasso a Boccioni, tutti ne fanno uso come mezzo di indagine. Si rafforza il dialogo tra arte e scienza: per esempio Georges Seurat, che cerca il colore puro, è vicino a Charles Henri, un giovane scienziato che vuole ricondurre le sensazioni dentro una formula matematica per stabilire la qualità espressiva della linea. Quanto accade in Europa dal 1880 è straordinario. Arte e tecnologia accelerano la corsa verso l’astrazione che sarà della modernità. Gauguin e Van Gogh tornano a una dimensione «primitiva», portando alle estreme conseguenze la pittura fatta di solo colore: l’immagine collassa, schiacciata in primo piano, metafora di una dimensione interiore. Solo le generazioni successive a questo crinale sono pronte per l’avanguardia, sono i «primitivi di una nuova sensibilità», uniscono arte e vita: il futurismo di Boccioni (che si forma dal divisionista Previati), il suprematismo di Malevic e Mondrian, che concentrano l’idea di pittura a icona di pura geometria.