Corriere 26.10.15
Malessere e disaffezione nella svolta della Polonia
di Massimo Nava
Anche la Polonia diventa euroscettica, sull’onda dei populismi in crescita nel Vecchio Continente. Paura dell’immigrazione, disparità economiche e domanda di sicurezza finiscono nell’urna e resuscitano nostalgie nazionalistiche e identitarie.
La Polonia è però un caso particolare.
L’avanzata della destra euroscettica evidenzia un’omologazione sia alle tendenze dell’Europa progredita sia a quelle dell’Europa più povera, dei Paesi che facevano parte del blocco comunista, fra cui la vicenda più drammatica è l’Ungheria dei nuovi muri e dei fili spinati.
Dopo avere riannodato con entusiasmo i fili della cultura mitteleuropea ed essersi finalmente affrancato dalla storica minaccia del vicino russo, il Paese è entrato in Europa bruciando le tappe e moltiplicando successi. Otto anni consecutivi di crescita economica, basso tasso di disoccupazione (8,6 per cento), capacità di attirare e spendere investimenti e fondi europei, senso di appartenenza al «cerchio» dei grandi, con l’assegnazione di posti di responsabilità (Donald Tusk, presidente del consiglio europeo) nelle istituzioni continentali.
Ma i polacchi mettono nel conto, più dei progressi, promesse mancate e problemi irrisolti: salari inferiori alla media europea, precariato giovanile, arretratezza di vaste aree del Paese. Anche sulle rive della Vistola si comincia a credere che l’integrazione significhi competizione fra poveri e taglio di radici secolari.
La società polacca riassume il malessere dei nuovi europei e la disaffezione dei vecchi europei. Un malessere che i populisti, di destra e di sinistra, sanno cavalcare in modo cinico e intelligente, in quanto condizionano opinioni pubbliche e programmi dei partiti che si dichiarano europei. I populisti non hanno le soluzioni, ma sanno denunciare i problemi.
Il populismo non va confuso con la demagogia. Le ragioni della pancia possono essere decisive, salvo riflettere su funzionamento dei sistemi democratici, sui meccanismi di formazione del consenso, sul solco che allontana le classi dirigenti dai cittadini.