Corriere 26.10.15
Nel documento dei magistrati le accuse al governo restano
Dalla delegittimazione alle intercettazioni, ribadite le tesi di Sabelli
di Giovanni Bianconi
BARI Passati tre giorni di dibattito, tra «guerre» vere e presunte, «scontri» aperti e chiusi, un confronto diretto col ministro che è servito almeno a mitigare i toni della polemica, i magistrati tirano le somme. E concludono il loro XXXII congresso con una mozione nella quale vengono ribadite tutte le critiche e le criticità segnalate nella relazione d’apertura del presidente Rodolfo Sabelli. Quella che aveva acceso i toni con la sfida al governo, almeno sul piano mediatico. Ma al di là delle intenzioni e degli accenti più o meno tesi — ieri la ministra per le Riforme Maria Elena Boschi ha avuto un’accoglienza garbata e istituzionale — le denunce restano tutte. Marcate e nitide.
«I magistrati italiani, preoccupati dal clima di delegittimazione e sfiducia nel sistema giudiziario, respingono il tentativo di scaricare sulla responsabilità del magistrato le carenze dell’organizzazione e l’inadeguatezza delle regole». Con altre parole, è ciò che aveva detto Sabelli. E così sull’immagine distorta dell’Anm: «Siamo consapevoli dei pericoli che potrebbero venire dall’immagine, facile e falsa, di un’associazione trasformata in soggetto esponenziale di una corporazione rivendicativa, tutta volta alla difesa dei propri privilegi». Nella relazione del presidente c’era l’aggiunta sulla «strategia» di delegittimazione, che nel documento finale è stata ridotta a «clima». Alimentato dal governo o da qualcun altro poco importa, se il governo non fa nulla per contrastarlo.
Quanto al giudizio sulle riforme avviate e quelle da fare, i magistrati ripetono non vanno bene, nonostante le rassicurazioni del Guardasigilli Andrea Orlando. Denunciata «la disorganicità e la timidezza dei disegni di riforma», si contestano «i nuovi termini dell’esercizio dell’azione penale, incompatibili con la realtà delle indagini e l’organizzazione degli uffici». Sulle intercettazioni resta la preoccupazione per la carta bianca lasciata dal Parlamento al governo: «Non si sottragga al legislatore ordinario la riflessione preventiva sugli aspetti più delicati attuando una delega che, per la sua genericità, si presta ad un ampio ventaglio di soluzioni». E chissà che cosa ne potrebbe venir fuori.
Stavolta non c’è il paragone con il contrasto alla mafia, che aveva acceso la zuffa, ma si parla di criminalità comune: i magistrati mettono in guardia dal cedimento «a generiche istanze securitarie e a superficiali appetiti giustizialisti», mentre emerge una «incoerente cautela nella materia dei reati di corruzione». Poi si richiama il problema annoso della prescrizione, auspicando un intervento «strutturale che ponga definitivo rimedio ai guasti prodotti dalla riforma del 2005, accogliendo i richiami che da tempo giungono dall’Europa».
Ma questo è un tema sul quale il governo è in difficoltà. L’accordo tra Pd e Ncd non c’è, essendo su questo e altri argomenti il partito di Alfano rimasto vicino a FI. Inoltre tra Pd e Ncd è già aperto il dibattito sui diritti civili, ed è improbabile che Renzi metta altra carne al fuoco del confronto, rischiando di far saltare tutto.
Proprio ad Alfano, che ha voluto sfidare l’Anm citando il caso della presunta corruzione dei giudici che si occupavano dei sequestri antimafia, i magistrati hanno risposto indirettamente ripetendo quello che in molti avevano sottolineato in tre giorni di congresso. Il documento finale richiama i «gravi comportamenti oggetto di indagini» e chiede che, «indipendentemente dalla loro rilevanza penale, i competenti organi statutari e istituzionali (cioè Guardasigilli, procuratore generale della Cassazione e Csm, ndr) esercitino tempestivamente i loro poteri di vigilanza e intervengano per adottare i conseguenti provvedimenti» .