giovedì 22 ottobre 2015

Corriere 22.10.15
La cena riservata dei «dissidenti» anti manovra E sul tavolo un documento evoca la scissione
Nove pagine preparate dal modenese Carlo Galli dal titolo: «Molte fini, un nuovo inizio»
di Monica Guerzoni


ROMA Non è stata una riunione carbonara e tantomeno una conta, assicurano i partecipanti. Eppure la cena riservatissima tra dieci antirenziani pressoché irriducibili, a base di ribollita e pappardelle al cinghiale, conferma come la legge di Stabilità abbia accelerato la riflessione su una possibile scissione, per costruire un nuovo partito a sinistra del Pd.
Via della Vite, pieno centro di Roma. In un noto ristorante toscano, alle nove della sera di martedì, entrano Stefano Fassina, Monica Gregori e Alfredo D’Attorre. I primi due deputati hanno lasciato il Pd mesi fa, dopo il no alla «buona scuola» di Renzi e il terzo ha un piede già fuori, avendo annunciato che non voterà la fiducia sulla manovra economica. Con loro, in un tavolo appartato, prendono posto gli onorevoli Carlo Galli, Vincenzo Folino e Franco Monaco, i senatori Corradino Mineo e Maria Grazia Gatti, nonché due deputati toscani. Walter Tocci non c’era, ma i colleghi dicono scherzando che «era presente in spirito».
Nel menù il documento politico del professor Galli, che insegna Storia delle dottrine politiche a Bologna. Arrivato a Montecitorio con Bersani ed entrato in «sofferenza crescente» da quando il segretario è Renzi, il deputato modenese è l’autore di un testo di nove pagine dal titolo «Molte fini, un nuovo inizio. Tesi per una sinistra democratica sociale repubblicana». Dove la domanda di fondo è quella che apre il quinto paragrafo: «La grande decisione è oggi se ci sia spazio per la sinistra e, in caso affermativo, se tale spazio sia interno o esterno al Pd».
Il documento, che definisce la politica economica del governo «apparentemente aggressiva verso l’Europa e in realtà subalterna», è una critica profonda di Renzi «leader paracarismatico» e del combinato disposto tra legge elettorale e riforma costituzionale. Un binomio che, secondo Galli, genera «un governo del primo ministro» e un Parlamento «ridotto all’obbedienza». La conclusione a cui il filosofo modenese giunge è che il Pd sia ormai «un partito di centro che guarda a destra» e che, fuori, esista lo spazio per un «progetto costituente repubblicano di nuovo New Deal, di un nuovo umanesimo sociale».
Al Nazareno si vive da separati in casa. I dissidenti sono furibondi per la richiesta, inviata ai membri della direzione, di confermare via email l’incarico di Orfini a commissario. Intanto Renzi assicura che non cambierà le primarie e tiene d’occhio le mosse della sinistra scissionista. Tant’è che, dalla Gruber, il premier non chiude le porte a Verdini: «Se entrerà in maggioranza? Ad oggi assolutamente lo escludo... Poi, da qui al 2018, osservo che c’è uno sfarinamento del centrodestra che mi colpisce molto». Come dire che non intende subire a lungo i ricatti dei ribelli. La decisione di rompere non è ancora matura. Monaco, prodiano della primissima ora e teorico di una «scissione consensuale» in grande stile, era alla cena «da osservatore». E la Gatti è descritta come «molto cauta». Ma il voto sulla manovra potrebbe portare a nuovi strappi: chi decidesse di smarcarsi non votando la fiducia, non avrebbe che una strada davanti a sé, uscire dal Pd.
D’Attorre ha già deciso, «senza correzioni profonde» compirà lo strappo: «Il livello di disagio è arrivato a un livello di guardia, tanti parlamentari sono stanchi di essere irrisi». Perché non escono, allora? «Per molti agisce ancora il senso di responsabilità di chi viene dalla tradizione comunista».