giovedì 1 ottobre 2015

Corriere 1.10.15
La faida fra sunniti e sciiti. Storie di fede e potere
risponde Sergio Romano


Credo che lei abbia spiegato in altre occasioni la divisione dei musulmani in sunniti e sciiti, ma non pensa sia arrivato il momento di ripeterlo ai lettori?
Monica Clementi

Cara Signora,
La domanda è stata fatta in altre circostanza e ho cercato di rispondere ricordando che all’origine della rottura vi è una diversa interpretazione del diritto di successione. Un ramo della grande famiglia musulmana riteneva che il ruolo di Maometto, dopo la sua morte, spettasse al migliore dei fedeli, scelto da un numero relativamente limitato di devoti seguaci; mentre un altro ramo sosteneva che la successione dovesse avvenire nell’ambito della famiglia. I primi si chiamarono «sunniti» perché si appellavano alla tradizione (Sunna) e i secondi «sciiti» perché sostenevano la candidatura di Ali, cugino e genero del profeta, ed erano il suo partito (Shi’at’ Ali). Non dobbiamo esserne sorpresi. Nella storia di tutte le grandi istituzioni umane vi sono fasi in cui i membri non riescono ad accordarsi sui criteri da adottare per la trasmissione della legittimità. Quando accade all’interno di uno Stato, la rottura del patto sociale provoca sanguinosi conflitti civili. Quando accade all’interno di una confessione religiosa, provoca le guerre della fede, non meno sanguinose. Una larga parte della storia umana è storia del modo in cui gli uomini hanno cercato di risolvere il problema del potere e del suo passaggio da una generazione all’altra.
Nella storia del cristianesimo il capitolo più interessante è quello che si conclude con i trattati di Westfalia. La Riforma di Lutero aveva diviso la cristianità e creato le premesse delle numerose guerre civili che avrebbero afflitto l’Europa per quasi due secoli. Negli anni in cui la fede era un elemento fondamentale della identità civile, una società in cui non tutti credevano nella stessa versione di Dio era condannata a una perenne instabilità. La soluzione venne nel 1848 dopo una guerra durata trent’anni, quando tutti i maggiori Stati d'Europa si accordarono sul principio che ogni sovrano avrebbe avuto il diritto di decidere quale sarebbe stata la religione ufficiale dei suoi domini. Grazie a questa manifestazione di pragmatismo, la religione, in Europa, smise di essere causa di grandi conflitti.
Nel mondo islamico, dopo la disintegrazione dell’Impero ottomano, le cose sono andate diversamente. Il Califfo di Istanbul era anzitutto Sultano, quindi fortemente interessato alla pacifica convivenza di popoli che appartenevano a diversi gruppi nazionali e religiosi. Oggi, invece, esistono Stati, fra cui principalmente l’Arabia Saudita e l’Iran, che si identificano con la loro particolare versione dell’Islam (il primo è sunnita, il secondo sciita) e se ne servono per creare una rete di amicizie e alleanze. Ma contribuiscono in questo modo a una pericolosa divisione del mondo musulmano.