lunedì 19 ottobre 2015

Corriere 19.10.15
Togliatti e l’amnistia La continuità dello Stato
risponde Sergio Romano


Nella sua interessante risposta ( Corriere , 6 ottobre) alla signora Maria Cassani, ha parlato dell’amnistia di Togliatti. E puntualmente due giorni dopo lessi nell’articolo «Azzariti, il fascista sconfitto dalla bimba morta ad Auschwitz» di uno dei beneficiari della detta amnistia. Potrebbe gentilmente spiegarci i motivi, le modalità e le conseguenze di questa mossa politica? Andrew Hornung
Oxford

Caro Hornung,
N ella sua ultima conversazione con Stalin, prima del ritorno in patria, Togliatti capì che il leader sovietico non intendeva tentare in Italia la politica che l’Urss stava facendo in Grecia. Era convinto che l’Italia avrebbe fatto parte della zona d’influenza anglo-americana e che la migliore delle strategie possibili, per i comunisti italiani, sarebbe stata quella di agire come una intelligente quinta colona, disposta a collaborare realisticamente con le altre forze politiche. Furono queste le ragioni per cui Togliatti non sollevò immediatamente il problema costituzionale e si dichiarò disposto a entrare nel governo monarchico del maresciallo Badoglio. Darà altre prove delle sue «buone disposizioni» quando modificherà il nome del partito (da «Partito comunista d’Italia» a «Partito comunista italiano») e aggiungerà un listello tricolore accanto alla bandiera rossa nel suo distintivo. Ma due anni dopo, quando divenne ministro di Grazia e Giustizia nel primo ministero De Gasperi, il suo pragmatismo fu messo alla prova. Anche se la espressione era allora difficilmente utilizzabile, molti sapevano che fra il 1943 e il 1945, insieme alla guerra degli Alleati contro la Germania, era stata combattuta sul territorio italiano una guerra civile. Sino a quando sarebbe stato possibile trattare il nemico sconfitto come un imputato da processare, incarcerare o addirittura giustiziare?
La proclamazione di una amnistia contro la volontà dei comunisti avrebbe provocato quella rottura del Comitato di liberazione nazionale che avverrà più tardi, dopo il viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti. Il compito, quindi, toccò a Togliatti e l’amnistia fu apparentemente adottata con il beneplacito del Pci. Ho scritto «apparentemente» perché nei quadri del partito vi fu per qualche tempo un notevole malumore. Ma Togliatti era l’uomo di Mosca e la decisione era sostanzialmente in linea con la politica che Stalin aveva deciso di fare in Italia; e anche gli elementi più radicali del partito finirono per piegarsi alla volontà del «Migliore», come i comunisti avevano l’abitudine di chiamare il loro capo.
Qualcosa del genere, caro Hornung, accadde per l’epurazione. Dopo un inizio molto giacobino, con l’espulsione dalle pubbliche amministrazioni e dalle aziende di parecchie centinaia di persone, fu chiaro a molti, non necessariamente nostalgici del fascismo, che l’Italia stava perdendo una parte considerevole della sua classe dirigente. Troppi epurati erano stati fascisti per semplice convenienza. Troppi fascisti erano disposti a proclamarsi democratici. La macchina della epurazione fu fermata e gli espulsi, con rare eccezioni, tornarono ad occupare la loro posizione precedente. Fu una grande operazione trasformistica. Ma ebbe l’effetto di assicurare la continuità dello Stato italiano.