Corriere 15.10.15
Shoah e genocidio armeno: negare può essere un reato
di Giuseppa Laras
Caro direttore, personalmente dissento con vibrante energia contro le censure e il fatto che alcuni «pensieri», effettivamente falsi, pericolosi ed osceni, vengano in qualche modo sanzionati per legge. Ovviamente mi riferisco al negazionismo in relazione alla Shoah.
Dovrebbero essere lo studio, la ricerca e l’evidenza storica, assieme a criteri e sentimenti di verità e di dignità, a espungere tutto ciò, arginando i negazionismi, svelandone le falsità e, infine, dissolvendone gli inquieti spettri.
Viviamo, tuttavia, in un’epoca di mediocrità e di diffusa ignoranza, di arbitrio deresponsabilizzato e di coscienze erose e spesso dissolute. Viviamo in un’epoca in cui l’antisemitismo sta raggiungendo i suoi massimi livelli di floridità e di pervasività dai giorni del nazismo. E so bene di che cosa si tratta perché li ho vissuti.
Anche in relazione ai rapidi e non governati cambiamenti delle demografie religiose in Occidente, tutto ciò non andrà che peggiorando ineluttabilmente. In siffatto scenario un qualche provvedimento legale, inteso a voler tutelare una «verità storica» scomoda, drammatica e luttuosa, forse non è peregrino. Resta il fatto che si tratta, almeno secondo me, di un clamoroso fallimento culturale, sociale e normativo. E bisognerebbe molto riflettere sui fallimenti. Tuttavia, visto che ormai l’iter parlamentare è avviato, (ne ha scritto sul Corriere del 14 ottobre Donatella Di Cesare) sarebbe assai nocivo e pernicioso che fallisse.
La questione, allora, è come rendere il più possibile «efficace» e «sensato» un tale provvedimento, sì che non alimenti in maniera polverosa — e schizofrenica rispetto al reale — un rapporto feticistico con la Shoah e la sua storia e non riduca, falsamente e odiosamente, l’ebraismo a «shoaismo», con le sue stantie — ed inutili— liturgie e i suoi sacerdoti, siano essi ebrei o meno. Come fare? Come salvare la storia e il senso di realtà? Ad esempio, pur riconoscendo con chiarezza l’unicità della Shoah, chiedendo a gran voce che la norma legale insista sia sulla condanna del negazionismo della Shoah sia sulla condanna del negazionismo del Genocidio Armeno.
Il Genocidio Armeno, assieme alla Shoah, costituisce per la coscienza occidentale una dolorosa e scomoda spina nel fianco. Esso rappresenta emblematicamente l’irenica cattiva coscienza di non pochi cristiani di Occidente, «distratti», impassibili o persino conniventi con il massacro dei loro fratelli di Oriente, spesso — come in epoche recenti o contemporanee — ritenuti «parenti poveri» o «sacrificabili» da parte di una maggioranza (oggi tanto sofisticata quanto debilitata) — mai abituata a vivere e a pensare da minoranza che deve e vuole sopravvivere — che si relazionava e si relaziona con un’altra maggioranza oggi probabilmente destinata a divenire maggioritaria (l’Islam). Forse è anche per questo motivo che per decenni ci siamo trovati di fronte a una colossale «rimozione» in Occidente del Genocidio Armeno.
E chi nega il Genocidio Armeno, come buona parte di chi nega la Shoah — fatte salve le loro distanze e le loro irriducibili differenze — , spesso appartiene precisamente a quest’ultima maggioranza, che non ha fatto i conti con i propri spettri e i propri incubi, né tantomeno questo le viene richiesto dalla politica e dalla cultura occidentale per malinteso senso di inclusione e di tolleranza. Ed è un dramma! Ed è qui precisamente che si saldano — come infatti accadde all’epoca — jihadismo e nazismo.
Se si vuole promulgare un qualche provvedimento legislativo contro il negazionismo, dovrebbe necessariamente comparire, assieme alla Shoah, il Genocidio Armeno; pena uno strumento nuovo ma già «spuntato». La «buona coscienza» di certi occidentali, sia come singoli sia come istituzioni, risulterà comunque credibile non per tali provvedimenti legislativi, bensì quando ci si schiererà con convinzione e chiarezza nei confronti di un’Armenia libera, sicura e sovrana, come pure di uno Stato di Israele altrettanto libero di esistere in sicurezza e pace.
Presidente del Tribunale Rabbinico Centro Nord Italia