Corriere 13.10.15
Sarà di nuovo come Gezi Park?
Stato a maggioranza musulmana con una Costituzione laica, il Paese vive di contraddizioni: diviso tra dinamiche città costiere e roccaforti più tradizionaliste
di Andrea Nicastro
ANKARA Dai traghetti che viaggiano tra la Istanbul europea a quella asiatica si scatta la cartolina classica della frattura turca, Paese che chiede da più tempo di ogni altro di entrare nella Ue, ma poi fa troppo poco per scrollarsi di dosso le leggi e le abitudini che ne fanno, per dirne una, la più grande prigione per giornalisti del mondo, più ancora della Cina.
Unico Stato a maggioranza musulmana con una Costituzione laica, la Turchia è ormai più un insieme di sfumature che una foto in bianco e nero. Capirne la mappa sociale guardando agli occhi azzurri ereditati dalle concubine circasse del sultano o dai giannizzeri rapiti ai quattro angoli dell’Impero Ottomano è poco.
C’è un legame tra la rivolta del 2013 a Gezi Park, per non sacrificare degli alberi a un centro commerciale, e le vittime di sabato nella piazza della stazione di Ankara. Nei due casi i protagonisti sono giovani, idealisti, allegri e coraggiosi. Le loro radici nei veleni della Turchia che è stata sono sempre più sottili.
La minoranza curda nel mirino dell’attentato di sabato ad Ankara è un buon esempio. Nelle elezioni del 2007 e del 2011 candidati curdi si erano presentati nelle liste del presidente Erdogan. Il suo islamismo rappresentava l’alternativa al militarismo che aveva dominato il Paese per decenni. E la scelta li ha premiati: deputati, scuole, persino tregue e colloqui di pace con i terroristi curdi del Pkk.
Nel giugno del 2015, però, i curdi si sono presentati da soli e hanno scompaginato i progetti di riforma in senso presidenziale di Erdogan. Ma quali curdi? Non gli indipendentisti contigui al Pkk, ma una nuova generazione di attivisti politici del Partito democratico del popolo (Hdp): gente che crede nei diritti civili, nella separazione tra governo e magistratura, più aperti a gay e lesbiche di molti partiti europei. Sono intellettuali, sindacalisti, pacifisti e femministe cresciti con il boom economico turco degli anni Novanta e Duemila, ma ad eleggerli è lo zoccolo duro dell’identità curda che ha poco a che fare con loro e che in quegli stessi anni era sotto legge marziale. I voti vengono da città calcinate dal sole, piene di polvere, dove ragazzi e ragazze non si incrociano nei bar, come Diyarbakır, Batman, Van. Lì Turchia bianca e Turchia nera si fondono per creare qualcosa di nuovo, moderno senza scimmiottature dell’Occidente.
E non è l’unico luogo. I Kemalisti eredi del laico padre della Patria Atatürk hanno sempre avuto le loro roccaforti nelle dinamiche città della costa mediterranea. Smirne l’infedele, Bodrum la spiaggia delle norvegesi hanno cresciuto ragazze che non mettono il reggiseno sotto le magliette, ma non per questo sono necessariamente più democratiche, europee, delle coetanee dell’interno. In famiglia si respira il revanscismo di ex militari golpisti. IPhone e stellette. Sono 1,5 milioni i soldati in servizio. Molti di più quelli in congedo o in pensione con le famiglie e la rete di conoscenze che aiuta. Quanti di questi occidentalizzati turchi della costa sarebbero disposti a barattare un buono stipendio alla Oyak Bank, la banca dell’apparato militare, per qualche conquista liberale?
Appena all’interno, dove ancora l’aria arriva salmastra, c’è Osmanyie, la provincia roccaforte dei nazionalisti da cui era emerso Ali Agca, l’attentatore di Papa Wojtyla. A scuola i ragazzi si salutano mimando con la mano orecchie e bocca del lupo, omaggio all’Impero romano. Eppure sono stati i rappresentanti di quella regione a difendere più di ogni altro i giudici che osarono indagare su presunte malefatte del governo. La tangentopoli turca aveva coinvolto nel 2013 i figli di quattro ministri fino a lambire l’erede del presidente in persona. Non se ne fece nulla, ma i deputati nazionalisti hanno affondato il governo di coalizione e costretto Erdogan a questo voto anticipato. La Turchia di oggi è fatta da miliardari come Aydin Dogan di Cnn Turchia , che nonostante gli arresti dei suoi giornalisti continua a finanziare l’emittente e il giornale Hurriyet . Un idealista democratico? C’è chi crede non voglia semplicemente cedere i suoi altri business ai nuovi capitalisti «islamizzati» favoriti dal presidente. Poco è come appare in Turchia. Compresa la distanza tra le due coste del Bosforo, a Istanbul. Invece di nuovi traghetti superveloci, i pendolari preferiscono quelli lumaca. Meglio svegliarsi 15 minuti prima, ma continuare a bersi un tè a bordo con vista sulla storia. Il futuro è loro.