mercoledì 9 settembre 2015

Repubblica 9.9.15
l regista.
Cinquant’anni dopo la presentazione polemica del suo film d’esordio “I pugni in tasca”, il cineasta affronta temi ispirati alla sua vita e a drammi personali
“Ero freddo e furioso ma oggi sono cambiato col tempo ho imparato a essere meno duro”
“Il momento più emozionante al Lido fu ricevere il Leone alla carriera dalle mani di Bernardo Bertolucci”
“Stavolta partecipo serenamente.Ormai sento sempre meno il dispiacere per i premi mancati”
“Le cose di sinistra che dice papa Francesco vanno bene anche per uno come me che non ha fede”
intervista di Arianna Finos


VENEZIA «NON ho una cravatta, sono libero di non indossarla. E comunque – sorride Marco Bellocchio - sto meglio senza ». “Libero” ricorre nella conversazione, nel giardino di una villa sul lungomare al Lido. Ora lo sta dicendo al giovane produttore di Sangue del mio sangue , Simone Gattoni che pensa alla proiezione ufficiale. Il maestro di Bobbio, 76 anni a novembre, è smagliante come la maglietta rossa che indossa sotto la giacca. Il film, nelle sale da oggi, è stato accolto da applausi e buone critiche. I pugni in tasca fu presentato 50 anni fa al Lido, fuori dalla Mostra. «Il direttore Luigi Chiarini lo rifiutò: poiché a Visconti era sempre stato negato, per ragioni politiche, il Leone d’oro, aveva deciso che quell’anno dovesse essere assegnato a Vaghe stelle dell’orsa . Ma alcuni temi di quel film erano vicini al mio, pur essendo opere diversissime. Chiarini pensò che il mio film non dovesse disturbare questo progetto, allora fui invitato e premiato a Locarno. Poi, I pugni in tasca fu proiettato qui, a margine, con un’accoglienza entusiasmante».
Da allora, tra lei e la Mostra c’è stato un rapporto a volte conflittuale.
«Ricordo nel ’71, direttore Rondi, ci fu la polemica con gli autori. Mandai Nel nome del padre all’anti festival, fu proiettato in una sala veneziana. Il produttore Cristaldi mi denunciò perché sottrassi la copia, poi tutto si risolse. Nell’81 partecipai con Gli occhi, la bocca sulla tragica morte di mio fratello. E poi Buongiorno, notte , che nel 2003 fu accolto con entusiasmo, ma la giuria guidata da Monicelli gli diede solo un premio alla sceneggiatura. Che io non ritirai. Il momento più emozionante fu ricevere il Leone alla carriera dalle mani di Bernardo Bertolucci ».
Aveva detto che non sarebbe tornato dopo il mancato premio a “Bella addormentata”.
«Come ha detto Nanni (Moretti, ndr ) a Cannes, già partecipare è un bel risultato ma giacché partecipi non puoi non pensarci. Ma a differenza di Bella addormentata , film fatto anche per via di una sconfinata ammirazione per Beppino Englaro, stavolta c’è una partecipazione serena. Senza ossessioni. Con il tempo il dispiacere dei premi mancati dura sempre meno».
“I pugni in tasca” distruggeva la famiglia, ora al Lido porta con “Sangue del mio sangue” la sua famiglia biologica e artistica.
«Lo stile non è molto cambiato. Allora c’era un atteggiamento apparentemente freddo, anche se furioso, contro la società vista dall’interno della famiglia. Un po’ come oggi, solo che allora era l’interno di una casa, oggi di una prigione. Certo, non sono diventato benevolo con la famiglia. Però mi rendo conto che l’essere nato, l’aver vissuto, il carattere, la sofferenza, le cose che ti mancano, nascono da lì. Sangue del mio sangue è da un lato il piacere di coinvolgere familiari amici, paese. Ma anche il legame con i figli, l’apprensione, l’attenzione, la fragilità ».
È tornato ad affrontare il tema della perdita del gemello.
«Ai tempi di Gli occhi, la bocca mi sentivo condizionato dai conflitti, dalla presenza di mia madre, dalla tragedia ancora recente. Stavolta ho affrontato la morte del gemello con altrettanta intensità ma una libertà più grande. Perché quando nel lavoro iniziano a scattare i conflitti su ciò che è giusto o sbagliato, il racconto soffoca, diventa meccanico. Sarà quel che sarà, nel disordine che è questo film mi sono sentito più libero. E questa libertà bisogna conservarla, anche se non è facile».
Sempre duro con la Chiesa, oggi apprezza papa Francesco.
«Ne apprezzo la schiettezza e condivido quel che dice. Cose di sinistra, che vanno bene anche per uno come me che non ha fede. Quell’uomo dà l’impressione di voler praticare davvero la carità. È già qualcosa. Di certo, comunica più di qualunque leader della sinistra».