domenica 6 settembre 2015

Repubblica 6.9.15
La mossa di Obama sull’Iran
Parte importante non scritta dell’intesa è la scommessa sulle nuove generazioni
di Ferdinando Salleo


NELL’ULTIMO anno di una presidenza concentrata sui temi economici e sociali, Barack Obama delinea un’attività internazionale che mostra una visione geopolitica e la realistica rivisitazione del ruolo degli Stati Uniti, ben lontano dalle crociate dei neocon bushiani, attento invece agli intricati equilibri del Medio Oriente, consapevole della superpotenza americana che, però, non è onnipotenza. Nonostante le ostilità iniziali dei repubblicani ma anche di una parte dei democratici, il Presidente si prepara a cogliere i successi a cui affidare la sua icona nella storia nazionale, visto che anche la maggioranza del Congresso oggi sembra essere con lui. La Casa Bianca ha operato dietro le quinte, politicamente più che militarmente, nel sinistro groviglio mediterraneo e medio-orientale dove sembra che l’intero assetto sia destinato a riconfigurarsi.
In questo senso, si vede il significato strategico dell’accordo raggiunto a Vienna tra gli Stati Uniti, sostenuti dai protagonisti dello scenario mondiale — Cina, Russia, i membri permanenti europei del Consiglio di Sicurezza, Regno Unito e Francia, infine la Germania — l’organizzazione mondiale con la sua agenzia atomica, da un lato e, dall’altro, l’Iran sciita, destabilizzatore della regione, prossimo al conseguimento dell’arma nucleare, nemico d’Israele e sostenitore di Hamas e Hezbollah.
Quello concluso a Vienna è un accordo basato sui controlli e la cooperazione internazionale, certo non sulla fiducia nel regime di Teheran: dieci, quindici, forse venticinque anni di restrizioni e controlli allo stato nucleare dell’Iran, di verifiche internazionali intrusive, d’impiego pacifico dell’atomo. La lotta alla proliferazione nucleare, pur con gli strappi fin qui tollerati, sarebbe stata nullificata se Teheran fosse riuscita nell’intento: avrebbe suscitato nella regione una corsa all’atomica piena di incognite e di pericolo di conflagrazione generale. Il sottinteso disegno egemonico iraniano, dal confine afghano all’Iraq, fino al Libano e al Mediterraneo, non può non preoccupare gli arabi sunniti, Riad e il Golfo in primo luogo dove vivono grandi minoranze sciite, le guerre civili si moltiplicano ed i regimi sono inquieti. Il contrappeso arabo, l’Arabia Saudita, alleato tradizionale degli Stati Uniti, attraversa una fase di cauto mutamento che richiederà ogni rassicurazione e garanzia americana, specie quando Teheran recupererà l’accesso al mercato arbitro e garante.
dell’energia e dispiegherà la sua potenza economica.
Il progetto atomico che risaliva allo Scià era divenuto simbolo della risorgenza dell’orgogliosa Persia e poi della setta sciita. Pegno delle mire politiche di Teheran, il nucleare era ritenuto soprattutto l’assicurazione sulla vita per il regime dei mollah («se Saddam avesse davvero avuto l’atomica, non sarebbe finito così…»). Parte importante dell’intesa, benché non scritta, è infatti l’abbandono da parte americana della politica di regime change: in questo senso, l’accordo contiene una scommessa sull’evoluzione della società iraniana, una popolazione giovane ed educata che ha giubilato per l’accordo e l’apertura che sottende, per il decennio o due di pace sorvegliata che potrebbe condurre Teheran a svolgere un ruolo positivo nella regione.
Sono durati cent’anni gli accordi Sykes-Picot che avevano disegnato arbitrariamente i confini dell’eredità ottomana nel mondo arabo tagliando fiumi e risorse minerarie attraverso nazioni che si odiano, etnie e sette religiose rivali: poi, l’irresponsabile invasione americana dell’Iraq che ha scatenato una guerra civile infinita, le speranze suscitate dalle primavere arabe, i dittatori abbattuti e sostituiti da altri o dal caos, il terrorismo islamico. L’orrore suscitato dal terrorismo, in primis Al Qaeda e il “califfato” nero, hanno posto le premesse della lotta per la riconfigurazione della regione. Tuttavia, solo un “concerto delle potenze” con la partecipazione dei maggiori attori regionali potrà disegnare un equilibrio delle forze in cui ciascuno trovi appagamento per una parte almeno delle proprie ambizioni.