mercoledì 2 settembre 2015

Repubblica 2.9.15
Giuliano Ferrara
“Così la Chiesa rinuncia alla battaglia pro-life”
intervista di Paolo Rodari


CITTÀ DEL VATICANO. «La Chiesa cattolica e il Papa hanno tutto il diritto di trovare al proprio interno tempi e modi più opportuni per assolvere il peccato dell’aborto. In questo caso, è chiara la linea della misericordia messa in campo da Francesco. Ciò che tuttavia a mio avviso oggi manca è un discorso culturale forte che sappia rispondere alla sordità del mondo verso l’aborto stesso, un evento considerato ormai dalla stragrande maggioranza della gente un’opzione necessaria».
Giuliano Ferrara, ex direttore del Foglio, l’amnistia sull’aborto ordinata da Francesco non la infastidisce?
«Assolutamente no. È nel pieno diritto del Papa amministrare la misericordia come crede. E non ho nessuna imputazione da muovere al pentimento. Il clero, il sacerdozio consacrato, possono risolvere al loro interno, nel segno che il Papa ha scelto della misericordia, la questione. Questa cosa non mi fa nessuno scandalo. Diverso è commisurare questa linea della misericordia a una certa sordità culturale sull’aborto in generale. Questa sordità mi fa più specie. E qui sì auspicherei che la Chiesa e i governi del mondo proponessero azioni concrete per combattere questa piaga, per darle il nome che si merita».
Ritiene che in passato la Chiesa abbia agito diversamente?
«Una legittimazione delle battaglie pro-life, per me opportuna, non viene dalla chiesa di Papa Francesco. Devo però dire, a onor del vero, che in merito anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno agito con una certa sofferenza e titubanza, anche se la loro predicazione andava nella direzione di una difesa esplicita e culturalmente rilevante della vita».
La cosa non avviene con Francesco?
«Il Papa sembra non volersene preoccupare troppo. Credo perché le sue frontiere sono quelle della povertà e delle miserie sociali, frontiere certamente importanti. Egli ritiene che la biogenetica, la bioingegneria, il trattamento strumentale della vita e la sordità verso l’aborto siano caratteristiche del tempo a cui non si può fare una vera e frontale opposizione. E questo non c’entra nulla con la legittimità del perdono conferito a chi abortisce. Sono due piani diversi».
Insomma, il problema di cui parla non è né sacramentale né religioso.
«Esatto. Per me la Chiesa è importante come cattedra di umanità, come luogo che riconosca pubblicamente il portato catastrofico della sentenza “Roe contro Wade” che il 22 gennaio 1973 decretò l’incostituzionalità della legge del Texas che vietava l’aborto. Da quel momento in poi la libertà di abortire diventò un diritto costituzionale. L’aborto divenne una questione di privacy delle donne, misconoscendo che il permissivismo in materia in materia di omicidio è un qualcosa di critico. La cosa sconcertante è che proprio come cattedra di umanità la Chiesa ha rinunciato a porre la questione da un punto di vista culturale».