martedì 29 settembre 2015

Repubblica 29.9.15
Mariana Mazzucato
Tra gli economisti reclutati come consulenti da Corbyn: Mariana Mazzucato, Joseph Stiglitz e Thomas Piketty
Daranno consigli al leader Labour per cambiare la politica economica
“Meno finanza e più industria per cancellare i privilegi”
intervista di Eugenio Occorsio


«La chiave del nostro messaggio economico è semplice: la Gran Bretagna cresce, è vero, ma noi vogliamo che questa crescita sia più omogenea, più inclusiva, con meno finanza e più industria, e soprattutto meno diseguaglianze». Mariana Mazzucato, docente di Economia dell’innovazione nell’università del Sussex, fa parte della squadra di consulenti economici d’elite, da Joseph Stiglitz a Thomas Piketty, chiamata da James Corbyn a delineare le proposte di politica economica del partito laburista nuova versione, quello che sfiderà i Tories per il governo britannico. «È stata una sorpresa. Con Corbyn c’eravamo visti solo in un paio di dibattiti, né ho mai fatto parte del Labour. Questo weekend mi hanno telefonato, precisandomi che il comitato sarà fatto da consulenti indipendenti che manterranno la loro libertà di critica».
Lei è stata citata dal cancelliere ombra John McDonnel alla Labour Conference per il suo lavoro sullo Stato “entrepeneurial”: qualcosa di più di imprenditore, uno Stato che ha la mentalità e la vocazione dell’industriale. A noi ricorda l’Iri: non è antica come ricetta?
«Assolutamente no. Al contrario, qui è la differenza con i conservatori: lo Stato non è un’entità molesta nel business, che lasciato a se stesso farebbe meglio. Va sfatato il mito dello Stato lento e polveroso contro l’impresa dinamica e moderna. Cameron si lasciò scappare l’espressione “il civil servant è nemico dell’impresa”, poi l’ha ritirata ma la mentalità resta quella. A certe condizioni, lo Stato deve essere un partner con pari se non maggior dignità dei soci privati, e assumere una funzione guida nella politica industriale. Purché sappia dove andare. Vanno fissati obiettivi precisi di politica economica, con una visione: la Silicon Valley è nata perché con interventi pubblici si è perseguita l’eccellenza nell’hi-tech, l’attuale mole di investimenti nelle nuove energie in Germania deriva dalla scelta “verde”. C’è una sostanziale presenza dello Stato negli investimenti importanti».
Qualcosa di simile a quello che fa in Italia la Cassa depositi e prestiti?
«Non esattamente. La Cdp investe i risparmi postali che possono essere richiamati in qualsiasi momento, non ha un fondo di dotazione stabile che garantisca investimenti di lungo termine. Di capitale in giro per il mondo ce n’è tanto, bisogna far sì che non sia utilizzato per speculazioni finanziarie ma divenga “paziente”. Qui lo Stato può ritrovare un ruolo: guidare gli investimenti privati, incanalarli, spingerli anche con qualcosa di più del nudging, l’arte di convincere, che si usa invece per i cittadini. Per capirsi, qualcosa di simile a quanto faceva il governo americano con i Bell Labs, “costretti” a investire nell’innovazione: erano dell’At&t alla quale in cambio lo Stato concedeva di tenere il monopolio, oltre a immobilizzarvi parte del capitale. In fondo è quello che ha detto Obama alla Fiat: prenditi la Chrysler (che era stata salvata dal governo Usa, ndr ) però investi nei motori ibridi. Quale lungimiranza, è il caso di dire. Per tutto questo servono ministeri, agenzie e dipartimenti, ben strutturati con personale qualificato, forti e coerenti».
E anche ben finanziati.
«Inutile negare che è un problema. Va affrontato con pragmatismo: si può tollerare qualche decimale di deficit in più se questo è ben canalizzato verso investimenti produttivi in grado di alzare il Pil. E quindi sul medio termine di rendere più favorevole il rapporto debito/Pil, che è quello che conta. È un tema delicato per il Labour, accusato di non prendere sul serio il problema del debito. Bisogna dimostrare che gli investimenti pubblici sono, se razionali, produttivi per il sistema. E che non basta perseguire il risanamento dei conti di breve termine se non si interviene sulla produttività: l’Italia ha i conti più in ordine della Germania eppure è ferma. Quanto alle tasse, si può lavorare sulla riduzione degli incentivi, sui sotterfugi dell’elusione a partire da quella delle multinazionali, sull’evasione che anche qui è un problema».
E di alzare le tasse su ricchi parlerete?
«Non so se sarà alzata l’aliquota massima (il 48% per i redditi sopra le 100mila sterline,
ndr). Si agirà prima sulle tasse delle grandi proprietà, delle rendite finanziarie, delle banche stesse. Però, è un discorso tutto da elaborare».