Repubblica 21.9.15
Nomadi o stanziali dalla preistoria non siamo mai cambiati
Lo rivela uno studio: le tribù di abitudinari e viaggiatori sono contrapposte dal Neolitico
È la “rivalità” più antica dell’uomo
di Marino Niola
SONO PASSATI dodicimila anni, ma gli uomini sono rimasti quelli di una volta. Divisi in due tribù. Nomadi e sedentari. Esploratori e abitudinari. Proprio come all’inizio del Neolitico. Alla faccia della globalizzazione, della mobilità no limits, dei voli low cost e del turismo di massa.
A dirlo è uno studio di Kdd Lab dell’Università di Pisa, condotto insieme all’Istituto di scienze e tecnologie dell’informazione del Cnr pisano e al Centro di ricerca sulle reti complesse Barabasi Lab di Budapest e Boston. I risultati sono stati appena pubblicati su Nature Communications . Gli scienziati hanno incrociato una mole imponente di dati, i cosiddetti Big Data, sulla mobilità umana. Che vanno dalle tracce Gps delle nostre automobili al traffico telefonico di centinaia di migliaia di persone, i cui movimenti sono stati monitorati nell’arco di vari mesi. Lo scopo dell’indagine era di confrontare il raggio di mobilità ricorrente, vale a dire quello relativo ai soli spostamenti quotidiani, per esempio tra l’abitazione e l’ufficio, con il raggio di azione totale, cioè l’insieme di tutti i nostri transfer, grandi e piccoli, abituali e occasionali. Ebbene, i ricercatori hanno scoperto che le persone tendono naturalmente a dividersi in due tipologie antropologiche ben distinte. Ciascuna con i suoi usi e costumi. Con i suoi totem e tabù.
Il primo gruppo è quello degli abitudinari, soprannominati anche i ritornanti. Perché hanno la tendenza a tornare sempre sui propri passi. La loro è una territorialità limitata. Non amano le deviazioni, fanno ogni giorno la stessa strada e se possono frequentano sempre gli stessi locali. Una vita a chilometro zero. Colazione al solito bar, giornale preso al volo all’edicola sotto casa, palestra di quartiere, spesa nel supermercato più vicino. E la domenica a pranzo da mammà. O, quando osano, nella trattoria fuori porta, dove li conoscono da una vita e non c’è nemmeno bisogno di ordinare, tanto i camerieri hanno in memoria gusti e disgusti del cliente. Sedotti e forse anche sedati dal solito tran tran, i ripetenti sono sempre alla ricerca di consuetudini e di certezze. Per loro la routine non ha niente di negativo. Significa né più né meno di quel che dice la parola stessa, che viene dal francese
route e vuol dire strada battuta. Un percorso collaudato che non c’è ragione di abbandonare e che diventa un placebo esistenziale.
L’altra tipologia umana è quella degli esploratori. La cui mobilità ricorrente è solo una minima parte di quella complessiva. Che si dirama di qua e di là e cambia continuamente. Al centro ci sono gli spostamenti obbligati, casa-lavoro e ritorno. Ma intorno a questo nucleo, gli itinerari dei globetrotter si allungano in tutte le direzioni, fino a formare una stella con un numero di raggi potenzialmente infinito. E soprattutto imprevedibile. Perché se c’è una cosa che fa venire l’orticaria al tipo explorer, è il già fatto e il già visto. Al minimo accenno di routine l’anima nomade si sente chiusa in una gabbia. E l’unica cosa che desidera è evadere per rimettersi on the road.
E dire che le due tribù si ignorano è quasi un eufemismo. In realtà non si prendono neanche di striscio. E sembra proprio che non si piacciano. La loro differenza e diffidenza reciproca arriva fino alle soglie dell’apartheid. Gli scienziati parlano di omofilia sociale per definire l’inclinazione endogamica delle due orde. Sia quella inerziale dei pantofolai, che vivono sempre con il freno a mano tirato e frequentano i loro simili. Sia quella dei giramondo che sono perennemente ed esclusivamente connnessi con altri giramondo. Come dire che chi si somiglia si piglia.
E non è tutto. Perché dopo aver mappato accuratamente i comportamenti del popolo nomade e di quello sedentario, il team di ricerca ha sviluppato un modello matematico in grado di simulare la nostra mobilità. Nonché di prevedere e prevenire l’impatto delle nostre scelte, sia individuali sia di gruppo, in materia di inquinamento ambientale, di consumo energetico e di pianificazione urbana. Come dice Fosca Giannotti del Cnr, con questi strumenti di rilevazione e di proiezione saremo in grado di programmare meglio il nostro futuro. Per esempio di capire se una infrastruttura viaria serve davvero o se è una cattedrale nel deserto.
Quello che balza agli occhi degli osservatori dell’uomo è che millenni di sedentarizzazione non sono riusciti a cambiarci del tutto. E meno che meno a cancellare quell’istinto nomade che, secondo il grande scrittore inglese Bruce Chatwin, modella carsicamente il carattere di molti individui. Evidentemente né la rivoluzione agricola, né quella industriale, né tantomeno la massiccia urbanizzazione di oggi sono riuscite a fermarci del tutto. Anche se non ci muoviamo in carovane ma in caravan. Non andiamo più in giro con la tenda ma con Be Welcome. Nomadi digitali in cerca di una vita di quelle che non si sa mai.