Repubblica 21.9.15
L’ultimatum di Renzi a Pierluigi “Ora ci contiamo, stop ai rilanci”
D’Alema: più il Pd rompe con la sua comunità, più cresce l’ipotesi di una candidatura a sinistra
di Goffredo de Marchis
ROMA Lo schema della direzione è proprio quello meno gradito dalla sinistra del Pd. «Il voto finale è sicuro», dice Matteo Renzi ai suoi fedelissimi. Come è successo sul Jobs Act e sulla legge elettorale, creando un vincolo di maggioranza alle scelte dei parlamentari in aula. Anche perché il premier valuta le ultime uscite di colui che è il suo vero sfidante nella partita della riforma. «Ho visto che Bersani chiude rispetto a un accordo. E ho l’impressione che vogliano solo e sempre rilanciare». In questo caso niente intesa, nessun patto con la minoranza e si andrà allo scontro in aula convinti di avere i numeri per farcela anche senza i dissidenti.
Il premier non scopre le carte sull’apertura concreta che farà oggi pomeriggio per sciogliere il nodo dell’elettività dei senatori. Ma è proprio un impegno chiaro e limpido ciò che chiedono i dissidenti, altrimenti finirà al solito modo: la minoranza non parteciperà al voto della direzione dimostrando plasticamente una spaccatura interna. Roberto Speranza ripete le parole pronunciate negli ultimi giorni: «Il voto in quell’organismo non può essere impegnativo quando si cambia la Costituzione ». Quindi stavolta non ci potranno essere appelli a seguire le decisioni dei vertici.
Le dichiarazioni ufficiali della domenica ancora estiva non nascondono un clima teso. Vasco Errani, che ha ascoltato Pier Luigi Bersani alla chiusura della festa dell’Unità di Bologna, confida: «So che si sta lavorando sul comma 5 dell’articolo 2». Quindi le parti trattano, cercano una strada unitaria. Ma come? Questo è il punto. Con senatori eletti o senatori indicati? I duellanti, Renzi e Bersani, ci tengono a sottolineare la loro coerenza nell’immobilismo delle posizioni. L’ex segretario nega una sua chiusura rivendicando di aver sempre indicato alcuni paletti così come li ripete oggi. Poi certo, il punto chiave non sono il taglio dei deputati o le funzioni del nuovo Senato. Il punto rimane l’elezione diretta dei senatori. Il premier-segretario fa più o meno lo stesso: «Stiamo sempre lì: abbiamo indicato il termine ultimo per il voto della riforma a Palazzo Madama per il 15 ottobre. E il voto deve arrivare sul testo della Camera, già approvato con la doppia lettura conforme ». Salvo le correzioni sulle modifiche apportate a Montecitorio, quel minuscolo cuneo che serve a siglare un patto tra gli sfidanti del Partito democratico. Ma, spiega ai collaboratori, «considero una chiusura le parole di Bersani di sabato. Se vogliono solo rilanciare allora salta tutto».
La conta di oggi in direzione può mettere una pietra sopra l’accordo, surriscaldando ancora di più l’atmosfera. Malgrado ci siano altri giorni per trattare. La scadenza degli emendamenti è mercoledì. Il governo può presentare sue proposte anche oltre questo termine. In più il Pd è appeso alla decisione di Piero Grasso sull’articolo 2: lo giudicherà emendabile tutto o solo in parte, magari proprio al comma 5 dell’articolo 2 dove aggiungendo una frase si soddisfano le richieste della sinistra? Il sottosegretario alle riforme Luciano Pizzetti considera vicina l’intesa, proprio in quel punto del testo. Speranza è ottimista, non crede che possa finire male ora che anche secondo lui si «è a un millimetro da un compromesso ». L’alternativa a un accordo del resto assomiglia a un disastro per tutti, almeno a sentire Massimo D’Alema.
L’ex premier ha parlato ieri alla festa del Pd del Lussemburgo. Non ha mai pronunciato la parola scissione ma ha messo in guardia la guida renziana del partito. «Attenzione che più il Pd rompe con la sua comunità e più si materializza, di pari passo con la deriva centrista, la possibilità di una candidatura a sinistra ». Cioè di un movimento fuori dal Pd con una parte del popolo del Pd. «È un rischio estremo ma c’è», avverte D’Alema. Ovviamente l’ex premier non sfugge alla domanda sui voti presi da lui e quelli di Renzi. Il segretario non vuole tornare alle percentuali dei Ds guidati da D’Alema. «Renzi è un bugiardo - sentenzia D’Alema - . Nel ‘96 il Pds era al 21 per cento e con gli altri dell’Ulivo facevamo il 36 per cento. Questi sono i numeri».
Tra i protagonisti diretti della direzione di oggi però D’Alema non c’è. A meno che non abbia pronto un intervento dal podio della sala all’ultimo piano di Largo del Nazareno. La battaglia è tra bersaniani e renziani e dopo l’intera estate passata a lanciarsi messaggi a distanza, con interviste o discorsi alle feste dell’Unità, si giunge al momento decisivo, a un faccia a faccia negli organismi ufficiali.