domenica 20 settembre 2015

Repubblica 20.9.15
Matteo stoppa Pierluigi “Si scordi i caminetti, chi rompe ne risponderà”
Per il premier l’intesa resta vicina: “Ma non farò tavoli con la minoranza”
“Adesso vorrebbero rivedere il numero dei seggi, che invece hanno già votato anche loro”
di Goffredo De Marchis


ROMA Matteo Renzi è sorpreso fino a un certo punto dai toni battaglieri di Bersani sulla riforma costituzionale: «Pierluigi vorrebbe ricostituire i vecchi caminetti del Pd. Un bel tavolo informale maggioranza-opposizione in cui si prendono tutte le decisioni più importanti. Ma a questo tipo di gestione del partito, fuori dagli organismi ufficiali, non mi piegherò mai». Semmai non capisce come farà l’ex segretario a giustificare un’eventuale rottura sul Senato, ora che il traguardo sembra a portata di mano. «Per me la strada di un accordo è aperta spiega il premier ai collaboratori - , ma non si ricomincia daccapo. Adesso vorrebbero persino rivedere il numero dei parlamentari, una cosa su cui hanno votato anche loro della minoranza. Questo è troppo, ma le nostre porte sono aperte per miglioramenti e correzioni. Se si rompe, però, si prenderanno la responsabilità».
Il segretario dunque continua a considerare vicina l’intesa finale sulla riforma. Anche perchè coglie alcune crepe nella minoranza, come dimostrano le parole di Gianni Cuperlo. Mentre Bersani attaccava, e non solo sulle riforme, l’ex presidente del Pd parlava di accordo vicino, vicinissimo: «Se, come mi pare di poter dire, si farà avremo un saldo attivo per tutti », è la posizione di Cuperlo. Ma il fronte renziano è più pessimista del premier. Giachetti invoca ancora una volta le elezioni, Guerini e Serracchiani puntano il dito contro l’ex segretario, Orfini si prepara alla rottura definitiva. In effetti, i bersaniani in senso stretto hanno rilanciato la battaglia. «Non c’è niente di chiaro, nessuna dichiarazione ufficiale, solo pissi pissi bau bau. Non è così che si fanno gli accordi», avverte Massimo Mucchetti che ha accompagnato nel pomeriggio Bersani in una visita a Brescia.
I senatori dissidenti chiedono l’elettività dei consiglieri che andranno a Palazzo Madama. «Dobbiamo dare ai cittadini la possibilità di scegliere i senatori- consiglieri lo stesso giorno del voto nella loro regione. La questione è semplicissima», dice Federico Fornaro. «C’era stata un’apertura di Giorgio Tonini ed è stata smentita dopo pochi minuti. Ora tocca alla generica voce su un patto. Difficile fidarsi dei giochi comunicativi », ricorda Mucchetti. I pilastri, a sentire la sinistra Pd, erano due: il superamento del bicameralismo perfetto e il collegamento del Senato con le regioni. «Siamo d’accordo su questi punti», ripetono i ribelli. La non elezione diretta, no. «Elezione significa che non ci sono 100 nominati o indicati ma che gli elettori decidono chi mandare a fare il senatore», chiarisce Miguel Gotor. «Se è l’elettività quella che vogliono, chiedono l’impossibile», replica il capogruppo alla Camera Ettore Rosato.
Domani alla direzione del partito le carte saranno scoperte. Secondo il presidente dei senatori Luigi Zanda, a questo punto diventa difficile respingere un’intesa in cui si indica, all’articolo 2, che i senatori saranno in qualche modo scelti dai cittadini. «Con un pizzico di prudenza arriviamo al traguardo di un Pd unito», spiega Zanda, riferendosi alle parole di Bersani. Ma l’ex segretario ha dato voce a una posizione che, a suo giudizio, è quella iniziale della minoranza. A sentire Mucchetti, l’intera riforma dovrebbe essere rimessa in discussione: l’elezione diretta, le funzioni del nuovo Senato («chi controlla le partecipate? Solo la Camera con quel premio di maggioranza? »), la proporzione tra la composizione di Montecitorio e Palazzo Madama («non c’è equilibrio nel rapporto di 1 a 6,3»). Ricorda il senatore-giornalista: «Negli emendamenti dei 28 c’è molto di più dell’articolo 2. E per noi sono tutti punti dirimenti». Così è una dichiarazione di guerra, vuol dire rivedere una parte molto corposa della legge Boschi. «Sarebbe la dittatura della minoranza», attacca il presidente del Pd Matteo Orfini. Ma i renziani avanzano il sospetto che dietro l’atteggiamento della sinistra si nasconda un progetto chiaro: far votare la riforma da verdiniani e senatori sparsi per indebolire il governo e la sua immagine. Una strategia di logoramento che avrebbe effetti anche sulla discussione della legge di stabilità.