giovedì 17 settembre 2015

Repubblica 17.9.15
Il premier: “Ho i numeri ma voglio portare tutto il partito con me” I ribelli:è lo showdown
di Goffredo de Marchis


ROMA È un mercoledì da leoni. Per Renzi che esibisce i “muscoli” e festeggia la prova di forza. «La maggioranza ha almeno 80 voti di scarto, uno spread impressionante». Sono segnali che dovrebbero convincere la minoranza del Pd e i dissidenti dell’Ncd. Ma il premier individua anche un altro bersaglio del voto sul cambio di calendario e sull’arrivo immediato della legge costituzionale in aula. «Speriamo che adesso Grasso si convinca – dice ai suoi collaboratori - . Non c’è spazio per riaprire l’articolo 2», ossia la parte del testo che regola la non elettività dei futuri senatori.
Al momento non c’è nessuno spiraglio d’intesa nel Partito democratico. Nessun dialogo. Si va alla conta, se non cambiano gli equilibri da qui alla prossima settimana. «Visti i numeri?», ripete Renzi ai suoi collaboratori. A sentire lui, dicono tutto o quasi. «Andiamo da un minimo di 70 a un massimo di 130 “sì” di scarto. Spero di portare dentro tutto il Pd e lavoro fino all’ultimo per riuscirci ma partendo dal fatto che i voti ci sono». Quindi, il confronto nel Pd deve diventare «un fatto politico, non un’esigenza numerica. Io li porto a bordo, i dissidenti – spiega ancora il segretario – perché è giusto ma non perché sono determinanti». Il primo passaggio racconta un pezzo della storia, ovvero che può farlo: «Lo faccio credendoci e continuando a rifiutare i diktat ».
Ma i muscoli vengono gonfiati anche dall’altra parte svelando l’importanza della posta in palio. Mentre guarda i suoi compagni dissidenti che si affannano a rilasciare dichiarazioni nel corridoio di Palazzo Madama, un bersaniano che lavora nell’ombra sibila: «Mi preparo alla battaglia finale. E in battaglia ci vuole qualcuno che lavori in silenzio». Nonostante l’evidente rabbia di Pietro Grasso per il pressing del governo, per quelle che il presidente definisce «forzature», i ribelli hanno la sensazione che il capitolo dell’elettività non verrà riaperto, che al massimo la seconda carica dello Stato concederà il voto su un comma dell’articolo, punto e basta. Ma questo non cam- bia il tono, l’atteggiamento e il linguaggio da barricata dei senatori della sinistra. L’obiettivo secondario, se non si riuscisse a far cadere il muro dell’esecutivo su alcuni punti chiave, è “sporcare” la riforma, farla camminare sulle gambe di una maggioranza raccogliticcia che va da Verdini ai parlamentari vicini a Tosi. È questo il vero risultato politico che la sinistra interna vuole conseguire? Dimostrare che Renzi si regge, come dice Federico Fornaro, sui voti di «Vincenzo D’Anna (un cosentiniano) e di Tosi, sarebbero loro la Leopolda al governo»? Renzi non sembra preoccupato da questa rappresentazione. Ieri Maria Elena Boschi ha discusso a lungo con D’Anna, il pallottoliere di Luca Lotti è sempre in aggiornamento e a Palazzo Chigi il premier ha ricevuto, senza nascondersi, il sindaco di Verona ex leghista che conta 3 senatori.
In questa fase conta molto schierare le truppe, dimostrare da che parte sta la forza e ripetere che se il castello crolla si va tutti a casa e chissà chi torna in Parlamento. Renzi lo ha ripetuto anche ai capigruppo ieri mattina in una riunione di routine sulla sicurezza interna. Palazzo Chigi fa sapere che alcuni dirigenti stanno cercando di mettersi in contatto con i renziani. Gotor invece esclude qualsiasi approccio. E la minoranza crede ancora nello sgambetto. Sul voto finale all’articolo 2, quando si vedranno i maldipancia silenziosi dell’Ncd uniti ai voti degli ex Forza Italia fittiani.
La palla finisce ora nella direzione del Pd convocata per lunedì. Eppure anche questo passaggio finisce per assumere i contorni del braccio di ferro. «I ribelli dipingono la direzione come l’arma del segretario contro di loro – dice il premier – È una roba da matti. In direzione abbiamo sempre cercato la condivisione. E io ripeterò che qui non si chiede un voto per disciplina ma per responsabilità. Nel momento in cui il Paese riparte, le riforme dimostrano di funzionare, così come funzionerà quella del Senato». Per la verità le parole della sinistra sulla direzione sono ancora più dure. «Lui usa un organo di partito contro una parte del suo stesso partito», attacca Gotor. Per trattare c’è ancora tempo fino a mercoledì (termine ultimo per la presentazione degli emendamenti), forse anche oltre. Ma oggi la volontà è quella di un combattimento a tutto campo. Ieri persino la conferenza dei capigruppo, luogo paludato per eccellenza, si è trasformata in un ring. E allora in aula tutto può succedere. «Meglio così, – è l’incitamento di Gotor- . E giochiamocela, a Davide contro Golia».