lunedì 14 settembre 2015

Repubblica 14.9.15
L’Europa ritrovi il suo coraggio
di Martin Schulz


CHE si guardi ai numeri o alle immagini, la tragedia ai confini e all’interno dell’Europa non potrebbe essere più grave: dal padre che vende penne per mantenere la famiglia, alla bimba diabetica morta perché lo scafista ha gettato in mare l’insulina.
DAI 71 profughi trovati morti in un camion in Austria, all’immagine devastante di Alan, il bimbo di tre anni che il mare ha restituito come fosse addormentato, ma non respirava né si muoveva più, l’Europa è stata colpita da una tragedia di massime proporzioni. Anche i numeri sono, tristemente, da record. Stando ai dati forniti la settimana scorsa dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, dei 3.776 migranti morti quest’anno in tutto il mondo 2.748 hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo. I confini europei sono i più fatali del globo.
Molti osservatori imputano la responsabilità di questa tragedia all’Unione europea. I politici di destra continuano a parlare di “effetto di richiamo” delle politiche europee sui migranti, nonostante un tributo di vite così drammatico. Dopo la morte di Alan, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha accusato l’Europa e l’Occidente di aver trasformato il Mediterraneo “in un cimitero di profughi”. Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che l’Europa ha ciò che si merita, visto che ha destabilizzato il Medio Oriente. I commentatori statunitensi hanno rimproverato all’Europa le divisioni interne e l’incapacità di agire.
Faccio parte della schiera che — da anni ormai — sostiene che l’Unione Europea può e deve fare di più per sanare le pecche della sua politica nei confronti dei migranti e dei profughi, tenendo conto a questo fine dell’esigenza di una politica estera e di sicurezza comune più strategica e unita. L’Ue deve rafforzare, non indebolire, la politica di aiuti allo sviluppo e i relativi finanziamenti, così che siamo più attrezzati a risolvere i problemi nei paesi in cui emergono. Il coraggioso intervento di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Europea, mercoledì scorso al Parlamento europeo, dimostra quanto sia lunga, eppure urgente, la lista delle nostre priorità.
Ma io chiedo a tutti di aspettare un attimo prima di scagliarsi contro l’Europa. Analizzando più a fondo le critiche, si nota subito quanto siano semplicistiche, mosse per ragioni politiche, o semplicemente ingenerose.
In primo luogo “Europa” è una denominazione impropria quando si tratta della crisi dei profughi. Negli Usa quando si voleva stabilire la paternità di un problema, si cercava di individuare le responsabilità. Chi blocca questa legge, il presidente o il Congresso? Di chi è la colpa, dei democratici o dei repubblicani? Chi è responsabile del mancato approccio bipartisan? Lo stesso si dovrebbe fare per l’Unione europea. Nella crisi delle migrazioni e dei rifugiati la responsabilità può essere attribuita con sicurezza. Le istituzioni sovranazionali europee si sono dimostrate pronte ad agire. Il Parlamento europeo ha appoggiato la Commissione nel suo coraggioso sforzo di istituire un meccanismo vincolante di sostegno ai paesi più esposti alla crisi dei profughi.
D’altro canto gli stati membri dell’Ue spesso predicano solidarietà quando fa loro comodo, negandola in caso contrario. La solidarietà deve essere a doppio senso di marcia. I paesi membri dell’Ue non possono accettare la solidarietà sotto forma di fondi da Bruxelles o sanzioni comuni contro la Russia per poi negarla quando si tratta di condividere il peso della crisi dei rifugiati. La solidarietà deve essere a tutto campo nel momento in cui uno o più paesi membri si trovano ad affrontare da soli una crisi senza precedenti. È il caso dell’odierna crisi dei profughi. Non è l’Unione europea — o Bruxelles — a essere debole. È il processo decisionale intergovernativo gelosamente sorvegliato dalle capitali nazionali che per l’ennesima volta ha dato prova di inefficacia.
In secondo luogo, l’apparente solerzia con cui si incolpa l’Europa delle morti dei profughi è cinica e arbitraria. L’Unione europea non deve sottrarsi ai suoi doveri umanitari in patria e all’estero. Ma è forse l’Unione europea che uccide i civili in Siria? È l’Unione europea che costringe gli eritrei a fuggire da una dittatura sanguinaria e autoritaria? L’Unione europea ha impiegato troppo tempo ad andare in aiuto dell’Italia con la missione di ricerca e soccorso. Non stiamo fornendo ai paesi confinanti con la Siria aiuti sufficienti. Ma sostenere che l’Europa abbia le mani sporche di sangue è semplicemente sbagliato.
In terzo luogo, si può essere duramente critici nei confronti dei leader europei ma bisogna riflettere bene prima di criticare i cittadini europei. Le immagini dei migranti siriani accolti alle stazioni ferroviarie in Germania e in Austria hanno suscitato grande emozione. Gli europei di tutta l’Unione in linea di massima stanno offrendo un sostegno senza precedenti ai profughi. La società civile mostra un attivismo spesso non pubblicizzato, ma forte, commovente e consolante. Fa riflettere che mentre Papa Francesco esorta i sacerdoti e tutte le persone a porsi in prima linea per aiutare chi ha bisogno, certi leader si presentino come paladini di un’Europa cristiana che vuole tener fuori dai suoi confini i profughi islamici. Sfortunatamente mentre i cittadini in tutta Europa mostrano di avere carattere, certi loro governi, che dovrebbero essere di esempio, ne sono privi.
Oggi assistiamo a un dibattito tra due Europe: una disposta a muoversi e a cambiare lo status quo, pronta ad affrontare una sfida epocale nella maniera corretta; e un’altra Europa, fatta di muri e di struzzi, pronta a scaricare i problemi sui paesi vicini nella speranza che la crisi si risolva. La volontà politica è dura da acquisire, ma grazie alla pressione esercitata dalla base e dalle istituzioni sovranazionali, l’azione e la solidarietà possono ancora battere il cinismo. Come ha detto Juncker, giocare a scaricabarile non serve a trovare soluzioni. Servono coraggio e solidarietà.
Copyright Washington Post Traduzione di Emilia Benghi L’autore è presidente del Parlamento europeo