mercoledì 9 settembre 2015

La Stampa 9.9.15
Gotico ergo sum
Brividi di paura a Mantova
Il Festivaletteratura dedica una delle rassegne all’antenato dell’horror Dagli spettri giocosi del Settecento ai mostri paralizzanti del cinema
di Mario Baudino


«Una tradizione di ghost stories nella letteratura italiana non c’è. Con tutti i castelli, i merli, gli infernotti, i Borgia, i pugnali e le catene a nostra disposizione (e da cui di fatto nasce esoticamente la letteratura cosiddetta Gotica del Settecento), l’idea del fantasma che si aggira lamentoso o minaccia per umide scale in penombra non ha mai attirato lo scrittore italiano», scriveva Carlo Fruttero nel «backstage» di Ti trovo un po’ pallida, racconto lungo uscito nel ’79 e ripubblicato nel 2007 (Mondadori) con varie e deliziose addenda, fra cui questa. Ma se solo guardiamo ai libri dell’anno, troviamo in uno di quelli più apprezzati, Cade la terra di Carmen Pellegrino (Giunti) un popolo di ombre, fantasmi convocati a cena in un paese abbandonato e spettrale.
Non è il solo caso: basti pensare a Michele Mari, che distilla con grande sapienza una sua vena gotica, o all’ultimo Benni, che scrive esplicitamente nella quarta di copertina di Cari Mostri (Feltrinelli): «La paura è una grande passione, se è vera deve essere smisurata e crescente. Di paura si deve morire. Il resto sono piccoli turbamenti». O ancora alla letteratura di genere, dove trionfano zombie e apparizioni sinistre. Fra abbazie e biblioteche maledette domina le classifiche ad ogni nuova uscita per Newton Compton il divertente - e divertito - Marcello Simoni: che forse non esisterebbe senza Il nome della rosa di Umberto Eco o Il codice da Vinci di Dan Brown.
Stiamo vivendo - dal punto di vista delle narrazioni, e non solo - una lunga stagione neogotica che ha radici lontane: e il neogotico è soprattutto un giocare con la paura. A Mantova, il Festivaletteratura che si apre oggi e fino a domenica celebra i suoi moltissimi autori, ne ha risentito il fascino prepotente, e al Gotico dedica una rassegna a cura di Luca Scarlini che attraversa l’intero festival. Si parte da una biblioteca ritrovata, ovvero centinaia di libri a volte dimenticati con fantasmi, vampiri e minacciosi castelli, per procedere con letture in piazza, film e naturalmente un party.
Gotico ergo sum è il titolo. La città del verdiano Rigoletto, personaggio di invenzione ma dotato di statua e indirizzo, una vera casa dove forse abita da sempre il suo fantasma, pare calzarlo alla perfezione. Il genere Gotico ha una data di nascita comunemente accettata, il 1764, quando Horace Walpole pubblicò Il castello di Otranto e pose le basi per una lunga fioritura di storie fantastiche o orrifiche, mentre l’architettiura riscopriva e riproponeva un gusto medioevalizzante, sfondo perfetto per i narratori. In quei manieri fantasiosamente ricostruiti, di mattoni o di carta, affluirono tutti i fantasmi e le ossessioni della società industriale; e se pure lo scenario è cambiato, non hanno mai smesso.
Mantova scopre il terrore nella nostra tradizione otto e novecentesca, facendolo risuonare con le letture in piazza nei testi di Pirandello, Fogazzaro, Papini, Landolfi, Capuana, Buzzati, Invernizio, Perodi, Arrigo e Camillo Boito. Ma non è che Fruttero si sbagliasse clamorosamente, quando negava tutto ciò. Si ricollegava anzi a una linea molto novecentesca, definita per esempio da Gianfranco Contini nel ’46, quando nella sua antologia (in francese) L’Italie Magique individuò «il monopolio della sensibilità magica in letteratura» come pacificamente assegnato «alle brume del Settentrione e alla fate Morgane dell’Oriente», mentre «nel cuore dell’Occidente» vedeva nella sua interpretazione degli autori antologizzati la possibilità di «isolare l’eccezione attraverso i filtri dell’ironia».
L’ipotesi funziona benissimo: basti pensare a Gli spettri sulla corda, fulmineo racconto di Enrico Morovich (1906-1994), amatissimo da Contini, dove il protagonista rientrando un po’ brillo non riconosce per tali i fantasmi di due banditi che lo attendono sulla corda del bucato per farlo morire di paura, e del tutto inconsapevolmente li esorcizza fissandoli alla medesima come fossero lenzuola. O al luciferino Giorgio Manganelli, che sulla soglia degli anni Ottanta in Centuria, coglie l’irrimediabile miseria di mostri spaventosi e apparizioni misteriose. Perché i «i fantasmi non erano più accetti nemmeno ai bambini» , dato che «un fantasma può meditare, leggere, camminare, e se è abbastanza stupido o annoiato fare rumore e scuotere le tende» ma solo «se c’è qualcuno da spaventare».
Il negotico è stato a lungo gioco. Il Frankestein di Mary Shelly, con Il vampiro di Polidori, nacquero com’è noto durante una serata svizzera in cui il tempo era orribile e a Villa Diodati Lord Byron suggerì ad amici e amanti (c’erano anche P. B. Shelley e Claire Clairomont) di inventare ciascuno una storia terribile. Oltre un secolo dopo anche Anna Maria Ortese intravide in un romanzo breve il fantasma dello zio, e la situazione non poteva essere più diversa, inconciliabile: il poveretto era timido e triste, soffriva di solitudine e soprattutto aveva una gran paura di disturbare.
Il neogotico letterario ha molte facce, alcune delle quali lasciata Mantova rispunteranno nel Cuneese, per il convegno «Neogotico tricolore» al Castello Rosso di Saluzzo (6 e 7 novembre), seconda tappa di un progetto triennale a cura di Enzo Biffi Gentili. L’ultima in ordine di tempo la deve forse non a se stesso, ma alla cultura pop, al cinema soprattutto , alle serie televisive, alle canzoni, alle mode giovanili. Come teorizzò Carlo Lucarelli intorno al volgere del millennio, ormai parecchi anni fa, un’intera generazione aveva appena imparato a «amare la paura» attraverso la tv.
Era da non molto sorta la stella dei cosiddetti «cannibali» (un’esponente dei quali, Isabella Santacroce, sarà a Mantova per il party finale) che ben guardare di romanzi o racconti «gotici» ne hanno scritti pochini; ma in contemporanea era letteralmente esplosa la letteratura di genere, non sembrò per qualche anno esserci alternativa possibile, in termini di scritura, a Quentin Tarantino e Dylan Dog erano i nuovi profeti. Dall’ironia al sarcasmo. Forse è tornato allora il gotico ottocentesco, barbuto e romantico. O forse non ci ha mai lasciati.