mercoledì 9 settembre 2015

La Stampa 9.9.15
Bellocchio gira in famiglia un apologo scintillante sull’Italia che non cambia
Otto minuti d’applausi per “Sangue del mio sangue” ambientato nei luoghi natii, con figli e fratello attori
di Fulvia Caprara


Nel segno della più totale libertà di racconto, forte di un’autonomia intellettuale che gli permette di infischiarsene delle regole «americane» con cui vengono costruite le storie del cinema, Marco Bellocchio mette in scena con Sangue del mio sangue (accolto con 8 minuti d’applausi) un apologo scintillante, già in lizza per i premi, sospeso tra il passato secentesco, oscuro e repressivo, e il presente globalizzato, corrotto e inconcludente.
Le antiche prigioni
Nel primo poteva accadere che una monaca colpevole di seduzione venisse murata viva, nel secondo non si sta certo meglio, in preda ai traffici di faccendieri e miliardari venuti dall’Est. Il paesaggio che tiene insieme i due piani è la città natale di Bobbio, il luogo dove tutto ebbe inizio e che oggi torna ad essere, per l’autore, il nido accogliente delle sperimentazioni familiari, la casa dei ricordi, la sede dove la passione cinematografica si rinnova ogni anno, nelle rassegne e nei laboratori dedicati ai talenti di domani: «Il film nasce per caso, dalla scoperta delle antiche prigioni di Bobbio, chiuse e abbandonate da molti decenni, costruite in epoca ottocentesca adattando un’ala del convento di San Colombiano».
In quegli spazi severi, ma anche nella natura circostante, nelle acque del torrente Trebbia, nel verde incantato dei boschi e dei giardini, si consuma la vicenda di suor Benedetta (Lidiya Liberman) e del giovane uomo d’armi Federico (Pier Giorgio Bellocchio) arrivato nel convento con lo scopo di vendicare la memoria del fratello gemello Fabrizio e poi finito, come lui, vittima del magnetico fascino della religiosa: «Tendo sempre ad attribuire alle donne il carattere della forza, gli uomini sono dei poveracci, è la mia vita che me lo dice, non certo una convinzione ideologica».
Sottoposta alle più terribili prove, Benedetta non darà segni di pentimento e, per questo, sarà condannata dalle autorità ecclesiastiche a vivere chiusa dentro una gabbia di mattoni: «Sono un anarchico, ma sempre più moderato. Non mi vedrei a tirare le pietre in una manifestazione di no-Tav e non mi viene affatto naturale parlar male della Chiesa, anzi, oggi abbiamo un Papa più a sinistra della sinistra, di cui apprezzo i gesti pubblici e le decisioni orientate al cambiamento».
Quella che invece gli provoca forte fastidio è l’Italia sgangherata delle connivenze tra crimine e potere, quella descritta nella seconda parte del film dove giganteggiano, tra gli altri, il conte vampiro Roberto Herlitzka e il matto del paese Filippo Timi: «Anche a Bobbio tutto è cambiato, la modernità e la globalizzazione hanno cancellato ogni cosa, compreso quel confortevole e protettivo isolamento paesano, garantito dal sistema consociativo dei partiti e dei sindacati».
Rimangono, allora, invincibili, riscoperti nel loro significato più vitale, i legami di famiglia, con gli eredi (oltre a Pier Giorgio recita anche Elena), con il fratello Alberto che interpreta il Cardinale Federico Mai: «È una cosa naturale, i figli, il sangue del tuo sangue, sono quelli con cui devi fare i conti. È una verità che viene dall’aver vissuto per tanto tempo insieme, negli stessi luoghi, tra i pranzi, le cene, le attese...».
E che, forse, ha anche a che vedere con il passare degli anni: «Non è detto che alla mia età si debba essere per forza rincoglioniti, vedo colleghi che si rintanano, altri che lavorano in modo compulsivo, sempre nel tentativo di allontanare lo spettro della morte». Su queste ultime parole il figlio Pier Giorgio, per la prima volta completamente protagonista di un’opera paterna (da oggi nelle sale), sbuffa, impaziente nel passare oltre: «Il rapporto con mio padre l’ho vissuto sul set, è lì che abbiamo trovato un’intesa e nell’intreccio tra vita e emozioni siamo andati avanti, fino a questo film che segna il traguardo di un affiatamento, la capacità raggiunta di lavorare insieme, con ruoli diversi».