martedì 8 settembre 2015

La Stampa 8.9.15
Usa, la sentenza che riapre il nodo razziale
di Vladimiro Zagrebelsky


Nei giornali di questi giorni, giustamente pieni di gravi storie riguardanti migranti, spesso di colore, ha trovato poco spazio una storia americana che gira attorno ad una bambina, la cui pelle è di colore diverso da quello che la sua mamma avrebbe desiderato. Si tratta di una storia americana, che però potrebbe verificarsi anche in Europa e in Italia. Essa offre molti motivi di interesse.
Una donna, che vive in Ohio unitamente ad altra donna, voleva un figlio, con il ricorso alla fecondazione artificiale. Entrambe le donne sono bianche.
Una di loro ha concluso un contratto con una banca del seme, stabilendo che avrebbe ottenuto il seme di un donatore bianco, con gli occhi azzurri, simile nella fisionomia alla sua compagna. La scelta del donatore è ammessa nell’Ohio, a differenza di ciò che avviene in Italia per il caso di inseminazione artificiale (ed anche nella adozione); un divieto che non vale naturalmente quando la fecondazione o l’adozione avvengono all’estero, cosicché esso ha dei limiti. I genitori adottivi di bambini di colore hanno affrontato difficoltà anche gravi legate all’inserimento del loro figlio in un contesto sociale, scolastico, lavorativo refrattario rispetto al «diverso». E’ probabile che quelle difficoltà in Italia vadano scomparendo, ma esse mostrano come la storia americana abbia tratti comuni a ciò che può verificarsi anche qui. In ogni caso, la donna americana, nel suo Paese, ha potuto scegliere di avere un figlio da un donatore di seme bianco. Rimasta incinta, la donna ha saputo che per errore le era stato fornito il seme di un donatore nero. Portata a termine la gravidanza, ne è nata una bambina di nome Payton, che ha colore e tratti che ne rivelano l’origine interrazziale. E’ come Barack Obama, figlia di una bianca e di un nero. Ma la similitudine con colui che è stato eletto e rieletto Presidente degli Stati Uniti, non le evitano le difficoltà che derivano dal rigetto della piccola comunità dell’Ohio, esclusivamente bianca, in cui la sua famiglia ora vive. E’ così che, quando la piccola ha ormai tre anni di età, la sua mamma, avendo sperimentato le prime difficoltà e immaginando quelle future, ha chiesto al giudice di condannare la banca del seme, sia per la negligenza nell’eseguire il contratto, sia per aver fatto nascere una bambina non bianca come quella che era desiderata. Il giudice ora, lasciando aperto il primo profilo, ha respinto il secondo. La legge su cui il ricorso si fondava riguarda la nascita di figli malati: nascer nero non è una malattia.
Una lettura semplicistica dell’iniziativa giudiziaria della madre della bambina può attribuirle una natura o almeno un sottofondo razzista. Ma basta guardare le fotografie delle due donne con la bambina e vedere il loro sorriso, per capire che i capelli biondi delle prime e i riccioli neri della seconda sono, tra loro, l’unica differenza. E’ dunque vero, come la mamma ha sostenuto davanti al giudice, che la bambina è benvenuta e amata, senza che conti il suo diverso colore. Ma la vita della bambina e della sua famiglia non si esaurisce nel loro ristretto ambito. La comunità circostante non ha accolto cordialmente la bambina, cittadina di seconda classe per il diverso colore della pelle. Al momento di andare a scuola sarebbe l’unica, in mezzo a soli bianchi. Persino la famiglia della madre condivide stereotipi negativi nei confronti di chi non è bianco, come loro. Dunque vi sono e soprattutto vi saranno problemi da affrontare per garantire alla bambina una crescita serena e sicura. La madre pensa che sarà costretta a trasferirsi in una diversa città, in un ambiente in cui la particolarità della bambina non ponga problemi. E per questo al giudice è stato chiesto di condannare a risarcire i danni la banca del seme, che ha commesso l’errore.
La decisione del giudice è ovviamente importante, ma il suo fondamento su una particolare legge, spinge a discutere il caso da un più generale punto di vista. Da cosa dipendono le difficoltà sociali, psicologiche, economiche che devono e dovranno affrontare la bambina e la sua famiglia? Nel ricorso giudiziario se ne attribuisce la responsabilità alla banca del seme e alla negligenza che ha fatto nascere una bambina di colore anziché bianca. Ma i risultati dannosi, dipendono dalla società in cui quella bambina è venuta a trovarsi. Essi non si limitano a chi porta le conseguenze di un errore. Viene allora da chiedersi quanto costerebbe risarcire gli afro-americani del modo in cui vivono in quella società. Una società in cui, in molte e vaste zone, dal colore della pelle dipendono le opportunità di crescita, studio, realizzazione. Una società in cui il razzismo dichiarato o implicito è largamente presente, anche se consente a un americano come Obama - la menzione è di nuovo utile -, prima ancora di essere eletto Presidente, di ottenere lusinghieri successi in una carriera accademica svolta a Chicago, non lontano da dove la piccola Payton, senza colpa di esser nata e di essere nata così, con i suoi codini neri alla moda degli afro-americani, affronta la vita.