mercoledì 2 settembre 2015

La Stampa 2.9.15
Perché l’Italia è condannata dall’Europa
di Vladimiro Zagrebelsky


Nel pieno di un esodo imponente di persone che fuggono da aree del mondo disastrate dalle guerre e che raggiungono con ogni mezzo l’Europa per ottenerne protezione, la Corte europea dei diritti umani ha ieri pubblicato la sentenza su un ricorso contro l’Italia di alcuni cittadini tunisini, illegalmente arrivati e sbarcati a Lampedusa nel settembre del 2011. I tempi delle procedure giudiziarie seguono ritmi legati alle regole procedurali (e al sovraccarico degli organi giudicanti), ma facilmente vengono interpretati come intenzionali, per entrare nel dibattito politico del momento. Non è questo il caso della sentenza che ha affermato che l’Italia ha violato la Convenzione europea dei diritti umani. Il momento in cui la sentenza giunge è casuale, ma non irrilevante, perché aiuta a chiarire aspetti importanti del problema posto dal fenomeno migratorio in atto.
L’Italia è stata ritenuta responsabile di varie violazioni della Convenzione: quelle persone vennero private della libertà senza che ciò fosse previsto dalla legge italiana; non fu loro possibile esercitare dei ricorsi efficaci contro l’azione delle autorità; vennero espulse in modo «collettivo», sulla sola base del fatto che si trattava di tunisini e senza esame delle motivazioni di ciascuna; nel centro di prima accoglienza di Lampedusa infine le condizioni in cui vennero costrette erano degradanti. Su quest’ultimo punto la Corte si è basata principalmente sulle constatazioni di due commissioni, inviate rispettivamente dal Senato e dal Consiglio d’Europa.
La sentenza, pur fondata su precedenti decisioni della Corte europea riguardanti non solo l’Italia, è particolarmente severa nella parte in cui afferma di voler tenere conto delle gravi difficoltà che l’Italia si trovò (e si trova) ad affrontare, ma in realtà ben poco considera l’eccezionalità della situazione che le autorità italiane dovettero affrontare. Enorme era il numero dei migranti arrivati sull’isola ed eccezionale il sovraffollamento delle strutture; a ciò si era aggiunta una rivolta scatenata dai migranti con distruzioni e violenze. I ricorrenti, insieme a molti altri, dovettero d’urgenza essere trasferiti prima nello stadio dell’isola e poi sistemati su navi nel porto di Palermo. La Corte tuttavia, con il rigore che deriva dalle previsioni della Convenzione, ha affermato che il divieto di trattamenti inumani o degradanti è inderogabile e assoluto, in qualunque circostanza. Per le altre violazioni, d’altra parte, la Corte ha osservato che l’Italia non ha fatto ricorso alle possibilità di deroga che sono previste per i casi di emergenza.
Una sentenza rigorosa dunque, ma non sorprendente alla luce dei precedenti, anche se accompagnata dal dissenso di alcuni giudici. Se anche è possibile avanzare perplessità su alcuni suoi aspetti, è però ora utile vederne il significato nel contesto attuale in cui gli Stati europei si trovano. Questa sentenza indica che una cosa è il fenomeno sociale, politico e umanitario che gli Stati devono affrontare, altra cosa è la dimensione individuale delle vicende che riguardano persone. La gravità, difficoltà e urgenza dei problemi legati alla gestione del fenomeno è evidente a tutti. Ma quando si considerano le singole persone il rispetto dei loro diritti fondamentali diviene centrale e ineludibile. Il trattamento cui i singoli sono sottoposti non può mai colpire le persone nella loro dignità di esseri umani, e le procedure da seguire per distinguere coloro che hanno diritto di esser considerati rifugiati o di ottenere una protezione umanitaria da coloro che invece possono essere espulsi, devono considerare la specificità della situazione di ciascuno. E qui si vede il senso della condanna dell’Italia per avere eseguito un’espulsione collettiva. Le autorità hanno agito sulla base di un accordo tra Italia e Tunisia, un accordo che era stato mantenuto segreto nelle sue previsioni. Ma la Convenzione europea, e tutti i documenti internazionali nella materia, obbligano gli Stati a valutare individualmente le ragioni che spingono le persone ad abbandonare il loro Paese per cercare rifugio altrove. Bene agisce la Germania, secondo le ultime decisioni annunciate dalla cancelliera Merkel, che offre rifugio «collettivo» a tutti coloro che fuggono dalla Siria in guerra. Ma non avrebbe fondamento una pratica opposta che rifiutasse la protezione, in blocco, a tutti coloro che giungono da Paesi in astratto considerati «sicuri». L’esame della situazione di ciascun migrante non può limitarsi alla sola identificazione per l’accertamento della nazionalità, preliminare all’espulsione, come si fece nel caso deciso dalla Corte europea. Occorrono organizzazione e mezzi e si deve arrivare ad una decisione il più rapidamente possibile, per non lasciare molte persone in condizioni incerte, per se stesse e per le comunità che le ricevono.