domenica 20 settembre 2015

La Stampa 20.9.15
Corbyn, il populista “rosso” a caccia dei voti andati a destra
Con le ricette del vecchio Labour il nuovo leader del partito punta a recuperare i consensi degli elettori di sinistra sedotti dai nazionalisti dello Ukip
di Fabio Martini


Sul marciapiede che affianca le ordinate e modeste case popolari di Islington North, la signora Justine appoggia per terra le due buste della spesa e indica l’abitazione di Jeremy Corbyn, l’uomo del momento: «È un bravo ragazzo, lo eleggiamo da tanti anni, è uno di noi, se lo chiami al telefono, risponde». E lui, il nuovo leader del Labour Party, uscendo dalla sua casa londinese, rincara la dose: «Qui sono stato eletto otto volte, l’ultima con la maggioranza più netta nella storia del collegio e questo mentre il Labour era battuto nelle elezioni». Jeremy Corbyn quattro mesi fa era stato rieletto nel suo collegio (popolare ma con aree di benessere) grazie ad una percentuale eloquente: 61%, sei punti in più rispetto a cinque anni prima, ben dieci in più rispetto al 2005 e da allora sono cresciuti anche i voti in termini assoluti, da 18.699 a 29.659. Dunque, chi lo conosce, da anni lo vota sempre più e questo è un piccolo indizio, anche se ovviamente la sua fulminante irruzione alla guida del Labour richiede spiegazioni più complesse. I primi commenti, da parte di osservatori indipendenti, si possono riassumere nelle parole espresse da Peter Mandelson, artefice della campagna di rinnovamento dei laburisti negli anni novanta: «Il ritorno del Labour alle posizioni di estrema sinistra ci consegna ad un ruolo di protesta, ai margini della politica».
Un alieno a Westminster
Con questo leader non vinceremo mai: la profezia al momento è molto quotata, ma non spiega l’«inspiegabile» ascesa di questo ragazzo di 66 anni. Corbyn è semplicemente l’ultimo dei leader di estrema sinistra, massimalisti e perdenti? Oppure «dentro» la sua vittoria ci sono le paure di ceti sociali un tempo garantiti? E quanto pesa la crescente avversione nei Paesi opulenti verso gli establishment, diffidenza che sta rallentando l’ascesa di Hillary Clinton verso la nomination democratica? L’altro giorno, quando Corbyn si è ripresentato, da leader, nella Camera dei Comuni, i laburisti lo hanno accolto nel più assoluto silenzio, mentre i conservatori hanno rinunciato alle rituali urla beffarde. Un trattamento da «alieno»: perfettamente bipartisan. E l’indomani Corbyn, sfidando il premier Cameron nel primo Question time, ha spiazzato tutti: «Questi confronti si svolgono in modo troppo teatrale». E subito dopo ha letto alcune email: «Marie ha chiesto di sapere...», «mentre Stephen...» «e Paul...».
Tracce di un approccio moderatamente populista che trovano riscontro in quel che sostiene un personaggio finora trascurato: si tratta di Owen Jones, supporter e consigliere del nuovo leader e soprattutto brillantissimo giornalista di 31 anni del «Guardian», autore di un best seller sull’establishment, una minuziosa indagine sulla casta in Inghilterra: «Quasi 4 milioni di elettori hanno votato per lo Ukip di Farage alle ultime elezioni. Saranno persi per sempre se sono liquidati come razzisti, mentre sono lavoratori spesso impauriti dalla mancanza di risposte su lavoro, casa, servizi pubblici» e quindi guai «demonizzare» anche quei cittadini che chiedono «più bassi livelli di immigrazione».
Gli elettori di Farage
Dunque, anche se Corbyn coltiva le stesse ricette della giovinezza (tassare i ricchi, aumentare la spesa pubblica, stampare moneta, nazionalizzare), in lui e attorno a lui si scorgono anche indizi di un «populismo rosso». Racconta Roberto Stasi, segretario del Pd del Regno Unito, iscritto al Labour e che lavora alla City: «Ho seguito la sua campagna: più i media lo indicavano come pericoloso per il Labour e per il Paese, più aumentava la gente. Overbooking che non si vedevano da anni: tanti giovani ed elettori che avevano lasciato dopo la guerra in Iraq. Corbyn incarna il carisma della semplicità. Renzi è emerso in Italia quando stava per vincere il populismo: con tutte le differenze, anche le ricette di Corbyn possono essere un argine al populismo radicale, recuperando elettori popolari, delusi dal Labour e sedotti da Farage».
Ma nell’ascesa di Corbyn c’è un «bolla» ben colta dal professor David Hine, politologo dell’Università di Oxford: «La ragione principale della vittoria di Corbyn è piuttosto banale: le nuove regole escogitate dalla precedente leadership (3 sterline per la registrazione) hanno consentito ai gruppi organizzati (in particolare le Unions, i sindacati) di mobilitare velocemente il proprio elettorato, contribuendo ad uno spettacolare effetto-boomerang. Ma questa è solo una parte della storia: l’altra riguarda la radicalizzazione della base del Labour, quei lavoratori (in particolare nel settore pubblico) che credono che i loro stipendi e i loro diritti siano erosi dalle politiche dei conservatori».
Le diseguaglianze pesano
Uno scenario che potrebbe ripetere la sbalorditiva parabola di Winston Churchill, che dopo aver vinto la guerra, nel 1945 perse le elezioni contro i laburisti di Clement Attlee, che incarnavano la fame di welfare di un popolo sfinito? «No, oggi non ci sono quelle condizioni sociali – sostiene Orazio Attanasio, capo del Dipartimento di Economia dell’University College di Londra – anche se la crescente diseguaglianza e l’erosione del welfare stanno indebolendo il ceto medio e stanno formando un nuovo sottoproletariato. Con conseguenze devastanti: a Glasgow nelle aspettative di vita, c’è una differenza di 25 anni tra un ricco e un povero che abitano a pochi chilometri di distanza. Ma è vano puntare su questi elettori per una riscossa: non votano».
Tanto più che non esiste una corrispondenza tra base ed elettori Labour. Dice Chris Hanretty della University of East Anglia: «In questa fase tra i militanti la reazione istintiva è stata: “Se non possiamo vincere, potremmo essere puri e genuini”. In generale non c’è mai coincidenza tra elettori e militanti. Ma non sono stupidi quelli che hanno votato Corbyn: sanno che nel Paese molte persone non ne condividono le idee». Una vocazione per l’orgogliosa diversità che sarà messa alla prova fra un anno, quando si voterà per il sindaco di Londra. Prova decisiva per la tenuta della leadership Corbyn e per il Labour, che sosterrà Sadiq Khan, un musulmano, figlio di un autista pachistano: l’ultima prova che l’identità dei politici oramai sta cambiando ad una velocità senza precedenti, in Italia come nel Regno Unito.