giovedì 17 settembre 2015

La Stampa 17.9.15
Getti d’acqua, gas, spray urticanti
In Ungheria è guerra ai profughi
Centinaia di feriti a Röszke. Ue e Onu: scioccati, contro i nostri valori La Croazia apre un corridoio verso Nord. Balcani “a rischio implosione”
di Giordano Stabile


I profughi siriani bloccati nella terra di nessuno fra Serbia e Ungheria hanno tentato ieri un ultimo, disperato assalto. Fra la cittadina serba di Horgos e quella ungherese di Röszke ce ne sono ancora tremila. Non possono tornare indietro, davanti hanno un muro di metallo e filo spinato alto quattro metri. I tentativi di far breccia sono stati respinti dalla polizia ungherese con tutti i mezzi. Cannoni ad acqua, gas lacrimogeni, spray urticanti: 300 i feriti. Un uso della forza «sproporzionato» che il premier serbo Aleksandar Vucic ha definito «brutale» e ha «scioccato» il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. «La difesa delle frontiere con la violenza non è compatibile con i valori europei», ha ribadito il commissario Ue all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos.
Cinquantamila mine
Budapest non ha intenzione di «aprire le porte», come gli urlano oramai da tre giorni i profughi. Il premier Viktor Orban ha annunciato un muro anche con la Croazia. E a Röszke sono apparsi blindati Humvee, armati di mitragliatrici. Il fiume di persone che ha percorso la rotta balcanica è stato deviato su altre vie. La Croazia ha annunciato ieri mattina che li «farà passare», in 180 hanno attraversato subito il confine dalla Serbia, quattromila sono attesi oggi. Con altri rischi, ma non minori, rispetto all’assalto alla barriera ungherese. Il terreno è pieno di mine anti-uomo, eredità della guerra civile jugoslava. «Circa 51.000» secondo i calcoli del Centro di azione sulle mine croato (Hcr).
Zagabria ha inviato una squadra del Centro per proteggere il passaggio dei profughi. Ma più che dalla Serbia teme un afflusso incontrollato al confine con la Bosnia, meno presidiato e infestato dalle mine. Kolinda Grabar Kitarovic, presidente nazionalista eletta a gennaio, ha convocato il consiglio di Sicurezza per domani. Il premier socialdemocratico Zoran Milanovic ha spiegato che la Croazia è «pronta a ricevere queste persone o indirizzarle dove vogliono andare». Zagabria, che fa parte dell’Unione europea ma non di Schengen, ha aperto un «corridoio sicuro» verso la Slovenia e l’area Schengen. A un passo dall’Italia.
Il governo socialdemocratico spera in un rapido transito che non affossi i consensi già in calo fra gli elettori. In Croazia si va verso lo scioglimento del Parlamento la settimana prossima e si voterà all’inizio di novembre, prima dell’anniversario della caduta di Vukovar, il 18 novembre 1991. Ricorrenza che rinfocola ogni anno le tensioni con i serbi e gli animi nazionalisti. Ma, secondo fonti diplomatiche occidentali a Sarajevo e Zagabria, il Paese più esposto a effetti destabilizzanti per il passaggio di centinaia di migliaia di profughi, in gran parte musulmani, è la Bosnia. Mentre quello più «solido», come ha mostrato finora una «gestione responsabile» della crisi, è la Serbia, con un «governo saldo e nessuna elezione in vista».
Polveriera Bosnia
In Bosnia, la diplomazia occidentale vede tre rischi. L’apertura di una nuova rotta attraverso il Paese se Macedonia o Serbia dovessero diventare più restrittive: le sue frontiere «corrono lungo grandi fiumi come la Sava e la Drina o in pianure poco abitate» e sono molto permeabili. Poi c’è la possibilità di «speculazioni politiche» sugli equilibri etnici che reggono le istituzioni bosniache: «L’arrivo di 30-40 mila profughi musulmani, l’1% della popolazione» potrebbe essere visto dai serbi come un tentativo di cambiare la composizione etnica del Paese. Infine il rischio di infiltrazioni «jihadiste» in un Paese dalla comunità musulmana «moderata ma con frange estremiste».
Ma la crisi balcanica ha una radice comune che si chiama Grecia. Dove «una gestione solo finanziaria della crisi» ha lasciato lo Stato indebolito, sfilacciato e ha aperto una breccia nel fianco sudorientale dell’Europa. La soluzione è una «frontiera esterna» dell’Europa che funzioni, gestita con solidarietà fra tutti gli Stati. Il contrario di quello che vediamo oggi.

(Darko Vojinovic/AP) - Peperoncino Agenti ungheresi alla frontiera con la Serbia spruzzano spray al peperoncino per respingere i profughi che cercano di superare la barriera