mercoledì 16 settembre 2015

La Stampa 16.9.15
Renzi sfida Grasso sul Senato, la riforma va subito in aula
Pressione di Palazzo Chigi su Palazzo Madama: non c’è più tempo da perdere Il presidente infastidito dal pressing. E Bersani attacca: capirei chi votasse contro
di Carlo Bertini


«Hanno provato a fare ammuina per superare il limite del 15 ottobre, ma non glielo consentiremo». Il nodo viene sciolto ieri mattina, quando il premier insieme alla Boschi e ai capigruppo decide di stringere i tempi e andare subito in aula, visto che in commissione restano migliaia di emendamenti e che la minoranza va allo scontro sulla riforma del Senato. Si va alla guerra, il Pd chiederà che venga calendarizzata subito, oggi tutti precettati per il primo voto decisivo sul calendario; in modo da fissare entro venerdì o lunedì, il termine per gli emendamenti; e che i primi giorni della prossima settimana si cominci a votare. Visto che il vero calcio d’inizio della partita si avrà quando il presidente del Senato dirà se il famoso articolo due potrà essere votato comma per comma, esaminando tutti i punti, compreso quello sub judice dell’elettività dei senatori già votato in doppia lettura; oppure se si dovrà procedere solo con due voti: quello del singolo comma con la preposizione tecnica mutata dalla Camera e il voto finale di tutto l’articolo.
L’ex pm molto irritato
Una scelta che il presidente del Senato si è riservato di prendere solo in aula e che cambierà le sorti della vicenda: nel primo caso la minoranza Pd e le opposizioni avrebbero la strada spianata per condurre la loro battaglia, nel secondo la porta sbarrata. Ma questa mossa del Pd non va giù a Grasso, che tiene a puntualizzare come spetti solo a lui convocare i capigruppo, «è una mia prerogativa»: segnale di forte irritazione per il pressing subito. Rafforzato dalla sentenza della Finocchiaro che dichiara inammissibili in Commissione gli emendamenti al solito articolo due, mettendo così in difficoltà il numero uno di Palazzo Madama che avrebbe più problemi a smentire il giudizio di un presidente della prima Commissione Affari Costituzionali.
Blindare un’intesa
La minoranza ieri ha prodotto uno strappo al tavolo delle trattative, quando la senatrice bersaniana Doris Lo Moro è uscita dalla sala dicendo che se non si può discutere dell’elettività questi incontri sono inutili. E malgrado il duro attacco frontale scagliato da Bersani, «capirei chi votasse contro», la Boschi è convinta che si potrà chiudere un’intesa perché le minoranze nel Pd sono divise. «Siamo a un passo da un accordo», sostiene un sottosegretario, «la minoranza ha fatto una concessione rinunciando a riaprire il tema della composizione del Senato, una buona parte di loro non vuole rompere». Insomma, per il premier veri problemi di numeri non ce ne saranno, chi conduce le trattative a tutto campo a Palazzo Madama gli riferisce che «in giro non c’è tutta questa voglia di elezioni». Si fanno i conti: anche se mancassero una ventina tra dissidenti Pd e centristi, ci sono una decina di voti di Verdini e altrettanti azzurri «marcheranno visita abbassando il quorum». E quanto ad Alfano e ai maldipancia dei suoi, Renzi e i suoi sono convinti che finirà come sull’elezione di Mattarella, «quando fecero dietrofront in un batter d’occhio al momento clou». La considerazione è che i centristi insofferenti non abbiano alcuna garanzia di esser ricandidati da Berlusconi: e nessuno nel governo crede che l’Ncd preferisca andare a votare ora con uno sbarramento dell’8% al Senato imposto dal Consultellum. Quindi la fiducia di farcela c’è comunque, ma nel caso si aprisse il vaso di Pandora delle votazioni sull’articolo due, la Boschi sta portando avanti la trattativa su funzioni e organi di garanzia per blindare un’intesa di maggioranza: ieri nella sala del governo sono entrati insieme a Zanda anche Schifani e Zeller, il capogruppo delle autonomie che ha diversi voti utili nel suo paniere.