martedì 15 settembre 2015

La Stampa 15.9.15
La retromarcia di una politica solo emotiva
di Cesare Martinetti


Alla fine questa cosa che chiamiamo Europa come se fosse davvero una realtà politica e non un puzzle di interessi, furbizie e ipocrisie è crollata sotto il peso della sua stessa impotenza: niente quote per l’accoglienza degli stranieri e frontiere che si chiudono in un triste domino. Dopo l’emozione, le mozioni. Così ora nei corridoi del potere a Berlino circola una metafora domestica per spiegare l’improvvisa retromarcia dopo la generosa apertura: le immagini dei rifugiati giunti in questi giorni in Germania hanno creato un «effetto aspirapolvere» attraendo i disperati di ogni dove. Con buona pace dei migranti paragonati a granelli di polvere mentre soltanto qualche ora prima erano i semi di un nuovo mondo che si annunciava sui giornali attraverso storielle edificanti come quella di una bimba siriana che tre giorni dopo aver passato la frontiera della BundesRepublik già parlava qualche parola di tedesco: «E’ così grande la voglia di questa gente di integrarsi...».
Il problema è che si va avanti per flash, nessuna idea di soluzione generale, viaggiamo sull’ottovolante dell’emozione dettata dalle immagini.
Il punto di svolta è stata la foto del piccolo Aylan, affogato su una spiaggia turca con la mamma e i fratellini. Poi sono arrivate le immagini della stazione di Budapest e dei confini ungheresi presi d’assalto da un’ondata biblica e la Germania ha mandato i suoi treni e spalancato le sue frontiere annunciando di poterne accogliere 500 mila all’anno; che poi sono cresciuti a 800 mila. Ma ora che sono più di un milione, i conti non tornano neanche ai tedeschi e Frau Merkel da «Angela» dei rifugiati appare nella spietata vignetta di Jean Plantu sulla prima pagina di Le Monde di oggi come una giocatrice di poker costretta ad ammettere il «bluff».
Sorridono beffardi i nemici che mal sopportavano la sua riabilitazione mediatica: in fondo faceva così comodo nel ruolo di capro espiatorio di tutte le crudeltà europee, a cominciare da quella che per semplicità si definisce «austerità alla tedesca»... In realtà se è vero che la cancelliera è esplosa per bulimia politica come quella rana che nella favola di Esopo per assomigliare al bue si gonfiò tanto fino a scoppiare, a dimostrare ancora una volta l’inettitudine della sedicente «Unione» europea era proprio l’istituzione che un tempo si diceva «comunitaria». Mentre in mare morivano mamme e bambini, a Bruxelles ci si divideva su quote di migranti definite in proporzioni talmente ridicole (5 mila di qua, mille di là) da far apparire come non mai fuori dal mondo quella tecnocrazia che pensa di governare la realtà con assurde regole, costruite non sui bisogni ma sull’equilibrio di pesi e contrappesi esercitati dai ventotto Paesi dell’«Unione». È una banalità del male in versione brussellese: si era immaginato di applicare il bilancino della ponderazione delle decisioni comunitarie allo tsunami epocale delle migrazioni. È come voler svuotare il mare con un secchiello.
Ma intanto la decisione tedesca produceva il suo effetto domino. Chiusa la frontiera con l’Ungheria, che a sua volta ha chiuso quella con la Serbia. Stringono i cordoni di Schengen anche Slovacchia, Olanda e Polonia. La Francia non li ha mai definitivamente aperti: per rendersene conto basta passare da Ventimiglia o in treno da Modane. I controlli «per facies», vale a dire che si chiedono i documenti a quelli che hanno una faccia «mediorentale» e si finge così che le regole di Schengen siano rispettate.
La pretesa di regolare disciplinatamente l’onda di profughi distribuendoli secondo «quote» nei Paesi dell’Unione è naufragata nell’assurdo e nel rifiuto ostinato dell’Est europeo ex comunista. Appena un po’ più morbidi i polacchi, ma gli altri rigidissimi nel no. Agnes Heller, filosofa ungherese, in una bella intervista di qualche giorno fa, ha provato a spiegare tanta mancanza di solidarietà: «Non hanno conquistato la libertà ma gli è stata regalata». Il comunismo (eccetto che in Polonia) è crollato da solo, non per effetto di una spinta popolare e democratica. E questi sono fili storici che non si devono dimenticare per capire il presente, compresa la determinazione di Angela Merkel a combattere qualunque risorgenza della «dunkeldeutschland», la Germania oscura, riapparsa a fine agosto ad Heidenau contro gli immigrati.
Fantasmi del passato che spiegano quelli del presente e che si ripresentano sotto altra forma ma certificano una volta di più che di fronte ai passaggi d’epoca l’emotività prevale sulla razionalità rendendo realistici anche gli scenari più improbabili.