La Stampa 13.9.15
Camusso replica a Squinzi: i salari vanno aumentati e non diminuiti
“Prima chiudiamo i contratti. Poi discutiamo di partecipazione”
intervista di Roberto Giovannini
Susanna Camusso, il presidente di Confindustria Squinzi propone ai sindacati di non rinnovare i contratti nazionali in discussione con le vecchie regole. E di passare a un nuovo modello in cui gli aumenti salariali siano concessi solo successivamente, e in cambio di aumenti di produttività. Vi sfida a «innovare con scelte coraggiose». Che risponde la Cgil?
«Lui ci sfida all’innovazione? In questa proposta di innovazione non ce n’è. E allora lo sfidiamo noi. In questa stagione il tema nuovo è quello della partecipazione dei lavoratori e della democrazia economica. Confindustria è pronta? Parlare ancora di limitare i salari non ci pare un tema affascinante. E non è neanche utile all’economia del paese».
La proposta di Confindustria è solo questo per voi: contenimento dei salari?
«Si afferma che i contratti nazionali non tutelano più il potere d’acquisto, e che gli eventuali aumenti saranno dati solo a consuntivo. Bisogna fare esattamente l’opposto. Se come dice lo stesso Squinzi, gran parte dell’apparato produttivo del Paese si rivolge solo alla domanda interna, se davvero si vuole ripartire bisogna mettere in moto il reddito e redistribuire la ricchezza troppo concentrata. I salari vanno aumentati, dunque, non diminuiti».
E la produttività?
«Bisogna farla crescere, bisogna rendere il sistema più competitivo. Come? Con nuovi modelli organizzativi, con l’innovazione, con la partecipazione e con la contrattazione. Non con una sempre maggiore subalternità dei lavoratori».
Ma la Cgil è sempre stata scettica su cose tipo l’azionariato dei dipendenti...
«Se la partecipazione si riduce all’acquisto di un po’ di azioni senza poter aver voce in capitolo sulle decisioni strategiche, eravamo e continuiamo ad essere critici. Ma la codeterminazione è altro. Si parla sempre di modello tedesco: imitiamolo, imitiamo la Volkswagen. È una sfida vera: produttività vuol dire solo moltiplicare le ore lavorate o anche innovare, riorganizzare il lavoro e riconoscere le capacità professionali?».
Quindi, no alla proposta di Squinzi, e sì a forme nuove di partecipazione. Ad esempio?
«Partiamo dall’applicazione dell’articolo 46 della Costituzione. Decidiamo come si discutono gli investimenti, che poteri hanno i lavoratori quando cambia l’organizzazione del lavoro. Proprio il presidente di Confindustria dice spesso che “siamo tutti sulla stessa barca”. Va bene, solo che i lavoratori il timone non lo toccano mai».
Non so se Confindustria sarà interessata a questa forma di partecipazione...
«So benissimo che hanno sempre cercato di evitare modelli di effettiva condivisione delle scelte in azienda. Ma non mi si dica che la sfida della modernità è il ritorno all’antico. Ripeto, se come dicono loro il modello tedesco funziona, adottiamolo anche su questo».
Però non si può negare che il modello contrattuale in vigore attuale sia datato.
«Vero. Quando cominciamo a ridurre il numero dei contratti nazionali? Ci rendiamo conto di quanti ne gestisce solo Confindustria, pure in conflitto tra loro? Sono molte decine».
E i contratti collettivi in corso, come vanno negoziati?
«Con le regole attuali, non c’è alcun dubbio. Peraltro, a noi Confindustria ha chiarito che non c’è nessun blocco dei contratti in scadenza. Le piattaforme già sono state presentate, andiamo subito alle trattative».
Siete però disponibili a discutere, con le vostre proposte, un modello contrattuale nuovo. Per la Cgil, cosa si deve negoziare nel contratto nazionale?
«I temi della democrazia economica, dell’informazione alle rappresentanze aziendali delle scelte strategiche, del welfare aziendale. Poi la tutela e l’aumento dei salari».
Sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro serve una legge?
«Abbiamo fatto un accordo con Confindustria e altre associazioni: si misurano gli iscritti, e il voto dei lavoratori determina la validità dei contratti. La Cgil ha sempre pensato che regole generali tra le parti vanno benissimo. Se arrivasse una legge, ovviamente, ci attendiamo che si ispiri alle intese tra le parti. Se il Parlamento intervenisse, però, bisognerebbe misurare anche la rappresentatività delle associazioni imprenditoriali».
E sul diritto di sciopero? Il governo vorrebbe introdurre delle limitazioni...
«Per fortuna quando si parla di diritto di sciopero la Costituzione è scritta con grande precisione. C’è una legge che riguarda lo sciopero nei servizi pubblici. Si può discutere di una rarefazione delle astensioni del lavoro, ma il diritto del lavoratore di scioperare è del tutto indisponibile».
E la politica economica del governo? È efficace?
«Qualche segnale di ripresa per fortuna c’è, ma la situazione sul fronte del lavoro è sempre terribile. E non mi pare sia utile questa discussione eterna sulle tasse sulla casa. Sarebbe più utile spingere sul fronte degli investimenti pubblici e aprire sul versante della flessibilità previdenziale per dare spazio ai giovani».
Ma per la flessibilità pensionistica servono tanti miliardi…
«Perché, invece i miliardi per la tassa sulla casa ci sono? Si può continuare a dire che per il lavoro e per i giovani non c’è mai nulla, mentre per togliere Imu e Tasi anche sulle case dei ricchi i soldi ci sono? Forse quest’anno discutiamo delle imposte sugli immobili perché ci sono le amministrative, e invece nel 2018 si parlerà di pensioni perché ci sono le politiche. Sbaglio?»